È stato presentato allo scorso Festival di Cannes e da allora Flow – Un mondo dal salvare ha incantato il pubblico di tutte le manifestazioni in giro per il mondo in cui è stato proiettato, tra cui anche l’Annecy International Animation Film Festival e Alice nella città. È la straordinaria opera seconda del giovane regista lettone Gints Zilbalodis, una sorprendente avventura tra flora e fauna che vede protagonista un gatto in un mondo in cui l’uomo sembra scomparso, al cinema dal 7 novembre con Teodora Film.
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IL FATTO
Al centro della storia c’è un gatto: una creatura minuscola in una grande foresta spaventosa, bizzarramente costellata di sculture di gatti di grandi dimensioni, la più grande delle quali è ancora circondata da impalcature, un’opera incompiuta a dimostrare che nel film la razza umana è scomparsa. Seguiamo il gatto in una frenetica fuga da cinque cani, fuga che lo porta a scoprire l’origine delle sculture in un cottage isolato dove c’è il laboratorio abbandonato di un intagliatore del legno. L’animale entra da una finestra rotta e si rannicchia su un letto per dormire, ma la sua pace non è destinata a durare: c’è un’onda di piena che sembra inarrestabile e il gatto deve mettersi in salvo su una barca, imparando a coabitare con un eterogeneo gruppo di animali.
L’OPINIONE
Flow prosegue la ricerca cinematografico/pittorica avviata nel 2019 da Zilbalodis in Away (2019), suo lungometraggio di debutto. Entrambi sono essenzialmente film muti, in Flow non esistono dialoghi, solo i versi degli animali protagonisti, che il regista non cade mai nella tentazione di antropomorfizzare, ma anima con raffinato realismo zoologico.
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Il tutto è sostenuto dalla puntuale colonna sonora firmata dallo stesso regista con Rihards Zalupe. Attraverso una sequela di affascinanti paesaggi fotorealistici, sempre più sommersi dalle acque, si muovono gli animali protagonisti, tutti disegnati in un seducente stile cartoonistico che rifiuta l’estetica dilagane del 3D, puntando su una computer grafica materica, che ben s’inserisce nel panorama che li circonda.
La morale, evidente, sulla necessità di superare le personali differenze se si intende sopravvivere è rivolta all’intero genere umano che, a differenza del gatto e degli altri animali, questo non sa capirlo.
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La prima parte di Wall•E (2008) di Andrew Stanton ha mostrato un altro tipo di estinzione dell’umanità, anche lì rinunciando ad ogni forma di dialogo, ma affidandosi solo alla forza visiva del protagonista.