GEN_, la recensione del racconto della transizione di genere oggi

Ha una valenza particolare il documentario girato al Niguarda di Milano

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GEN_ Gianluca Mattarese Sundance 2025

Presentato all’ultimo Sundance Film Festival 2025 (qui tutti i vincitori) come unico film italiano tra i tanti selezionati, il GEN_ diretto da Gianluca Matarrese – in sala dal 27 marzo, distribuito da Barz and Hippo – è sicuramente un documentario interessante. Senza nulla togliere alla realizzazione, soprattutto per i temi che tratta e per il personaggio sul quale concentra la sua attenzione, il dottor Maurizio Blini dell’Ospedale Metropolitano Niguarda, responsabile con la sua équipe di un reparto tra i pochi del servizio pubblico italiano autorizzati a fornire questo tipo di cure, ad aiutare le persone a realizzare i loro sogni, che siano di avere figli o di compiere una sempre faticosa transizione di genere.

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IL FATTO

All’ospedale pubblico Niguarda di Milano, l’anticonformista dottor Bini conduce un’audace missione di supervisione degli aspiranti genitori che si sottopongono alla fecondazione in vitro e dei viaggi degli individui che riconciliano il proprio corpo con la propria identità di genere. Egli naviga tra i vincoli imposti da un governo conservatore e da un mercato aggressivo desideroso di mercificare i corpi.

GEN_ Gianluca Mattarese Sundance 2025

L’OPINIONE

Un medico “unico nel suo genere“, come unica è ogni singola vita, ogni singola persona, eppure tutte ugualmente meritevoli di rispetto e della possibilità di condurre una esistenza degna e liberamente scelta. È forse questa la sintesi del racconto che fanno Gianluca Matarrese e Donatella Della Ratta in GEN_, documentario tra l’apologia e l’antologia che, concentrandosi sulla figura del Dott. Maurizio Bini e sulla sua missione di “trasformare vite attraverso la fertilità e l’affermazione di genere“, ci racconta molto del mondo che ci circonda, e forse di noi.

L’eterogeneo gruppo di pazienti che lo vediamo incontrare, tutti bisognosi di un intervento medico quanto di uno sguardo non giudicante, va componendo un affresco raro di una realtà poco trattata – o accettata – nel nostro Paese, troppo spesso strumentalizzata da una politica che mette alla prova l’etica medica. E insieme un ritratto cinematografico intimo, per la profonda cura emotiva e fisica che il dottor Bini e i suoi colleghi mettono nel loro lavoro, e nella continua sfida – non senza rischi – ai vincoli imposti dalla società, costretti come sono a “mediare tra giudizio clinico e restrizioni legali sempre più stringenti“, come suggerisce il regista.

Le leggi vanno sempre rispettate“, dice, ma “uno fa il medico per aiutare le persone“, e in questa frase sta la stella polare etica del personaggio e del documentario. Che dal confronto con altre nazioni, come Grecia o Spagna, alla citazione di proclami recenti di importanti figure delle nostre istituzioni, costruisce un contesto – anche politico – nel quale trovano spazio la stigmatizzazione del potere sugli altri di “un qualsiasi incivile ignorante omofobo” e la segnalazione dell’interessante articolo del dottore sul doppiopesismo di un governo pronto a ospitare gli embrioni ucraini, ma non quelli di Gaza.

Impossibile d’altronde prescindere da uno solo degli aspetti di un personaggio tanto ricco, capace di parlare arabo e cinese come l’italiano, di sdrammatizzare situazioni tese e incoraggiare o sferzare giovani pazienti preda di stereotipi anacronistici, senza paura di mostrarsi in altri contesti, come quello della discoteca o nei boschi a cercare funghi, in fondo tutte facce di un prisma nel quale la vita, e la qualità della stessa, la salute, fisica e mentale, delle persone, restano sempre la priorità.

Sprovveduti e disperati, uomini e donne spaventati, transgender sereni e problematiche famiglie tradizionali, solidali o divise, tutti in cerca di un cambio di vita – attraverso un nuovo figlio o il raggiungimento di una propria identità – la lunga processione da questo ‘santone’ moderno, un po’ nonno e molto psicologo, oltre che medico e un po’ ‘protagonista’, finisce per mettere alla prova lo spettatore nella sua ripetitività formale, per quanto le riprese con camera a mano ci portino in quello studio, curiosi invitati a partecipare di storie seguite in maniera diseguale e incoerente ma comunque interessanti, importanti ed esemplari.

Perché, comunque la si pensi, GEN_ offre uno spaccato utile ad andare oltre rigidità e pregiudizi, magari restando della propria idea, magari per dogmi religiosi, ma non per ignoranza… E un punto di partenza, l’inizio di un percorso personale aperto (d’altronde proprio la scelta di non concludere le vicende messe in scena aiuta a non accontentarsi passivamente dell’esito che hanno o avranno avuto), informato dalla speranza che lo stesso Bini esplicita nel finale, in un mondo migliore, di persone migliori.

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Il precedente lungometraggio del regista, presentato alla 20esima edizione delle Giornate degli Autori alla Mostra di Venezia e al cinema, L’Expérience Zola. Potrebbe interessarvi, per quanto diverso nel tema (ma non nel presentare realtà attuali, sia mediche sia umane), anche il doc Acqua benedetta di Antonio Petrianni.