1813: un villaggio agricolo nell’Italia pre-unitaria (non è precisato se ci troviamo tra le colline marchigiane, o ci sia una «siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude»), è turbato dalle incursioni di una misteriosa creatura, che la gente del luogo chiama “la Bestia” e uccide gli animali senza divorarne le carni, bensì nutrendosi del loro sangue. Gli episodi si verificano nelle notti di plenilunio, e dalla luna è affascinato anche Giacomo, quattordicenne figlio maggiore di una famiglia nobile proprietaria dello stesso terreno. Le inquietudini adolescenziali gli rendono sempre più difficile sopportare la rigida disciplina imposta dai genitori, che malsopportano l’interesse del ragazzo per la poesia e per la contadina Silvia.
Il cinema di genere si fa allegoria di condizioni della psiche in Hai mai avuto paura?, lungometraggio d’esordio di Ambra Principato (anche sceneggiatrice, con l’apporto di Carmen Danza per il soggetto), prodotto da Marco De Micheli per Redvelvet in collaborazione con Vision Distribution, che porta in sala il film dal 27 luglio. Un horror (tra i riferimenti dichiarati ci sono Lasciami entrare!, The Others e The Witch) e insieme un mistery, con la doppia indagine sulla natura della “Bestia” e, parallelamente, sul lato più oscuro della famiglia di Giacomo, in cui si addentra sempre di più il fratello minore Orazio. Alla base, c’è il romanzo di Michele Mari Io venia pien d’angoscia a rimirarti ma, racconta a Ciak la regista, l’adattamento è stato estremamente libero: «Il testo di Michele Mari mi è piaciuto molto però, nel momento in cui vado a rielaborare qualcosa, non posso fare a meno di farlo passare attraverso di me, inserendovi delle tematiche che mi sono care. In particolare, mi piace molto lavorare sull’ombra, sulla dualità». Ecco allora il nodo chiave di Hai mai avuto paura?: la zona d’ombra che si annida nelle pieghe di una comunità, di un sistema di valori, di una storia familiare e delle singole persone. Un profondo con cui è impossibile, e controproducente, non fare i conti: «Questo film», sottolinea la cineasta, «lavora su ciò che tendiamo a tenere nascosto, che non può essere represso: perché, se fai finta che non esista, torna più forte».
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Difficile allora, come spesso capita nella tradizione dell’horror, stabilire se facciano più paura gli eventi soprannaturali o le “mostruosità” sin troppo reali di una società bigotta e classista, rappresentata emblematicamente dalle figure degli adulti aristocratici: «Il personaggio del Conte porta avanti delle dinamiche che incontriamo ancora oggi. È un abile oratore, molto attento all’immagine, ma non ai reali bisogni delle persone intorno a lui. Anche la Contessa, che in pubblico è sempre molto riservata, reprime un’ombra. Ognuno trova il suo metodo per far uscire la propria. L’unico che ne parla in maniera cristallina è Scajaccia». Ovvero, lo “Zingaro dei boschi”, cacciatore della “Bestia” e portatore di un retaggio culturale alternativo a quello di un Cristianesimo da Ancien Régime che lo disprezza come elemento estraneo. Lo interpreta Mirko Frezza (A mano disarmata), in un cast che vede anche Marta Richeldi (L’uomo del labirinto) e David Coco (Il talento del calabrone, Il delitto Mattarella), rispettivamente il Conte e la Contessa, e comprende inoltre Claudia Della Seta, Sveva Mariani, Alessandro Bedetti, Mauro Marino e Maurizio Di Carmine.
I protagonisti, però, sono tre giovanissimi, Justin Korovkin (The Nest – Il nido, Favolacce, The Book of Vision), Lorenzo Ferrante ed Elisa Pierdominici (esordienti). Del primo, cui è affidato il ruolo di Giacomo, Principato confessa: «Ero una sua fan da The Nest. È una persona fantastica, quando abbiamo girato il film aveva 14 anni, ma ha la sensibilità di un adulto». E se Ferrante, nella parte del piccolo Orazio «è stato una rivelazione», Pierdominici (la sorellina di Giacomo e Orazio, Pilla) ha colpito la filmmaker grazie a un video trovato in rete: «Qualcuno la stava intervistando, e lei diceva che le piaceva tantissimo il sangue finto!».
Già impegnata su un nuovo lavoro in pre-produzione (tratto da un suo precedente soggetto), che sarà «tutto un altro genere e un’altra epoca, ma vedrà ancora dei ragazzini!», Principato punta con quest’opera prima (e quelle che verranno) a inserirsi nella schiera di cineasti italiani desiderosi di portare una ventata di freschezza alla nostra industria, tra rivisitazione dei codici di genere e contaminazione di linguaggi: «Ci sono tanti registi», afferma, «che stanno portando avanti dei progetti molto coraggiosi, Paolo Strippoli è uno di questi. Fanno un po’ da ariete nel panorama generale. Piacerebbe anche a me spingere in quella direzione: possiamo fare delle cose incredibili, ho visto che abbiamo delle maestranze pazzesche, e ci sono autori con idee meravigliose. Potremmo permetterci di fare molto di più di quello che effettivamente facciamo».
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