Tra i titoli in uscita con la ripresa delle sale spicca Spiral – L’eredità di Saw, diretto da Darren Lynn Bousman, che si aggiunge all’ormai lunga lista dei seguiti, remake, reboot del modello originale (Saw – L’enigmista), divenuto una sorta di oggetto-feticcio per gli amanti dello splatter e datato 2004. Sono passati 17 anni (e sette sequel) dall’avvio della saga e la fantasia degli sceneggiatori è stata messa a dura prova da un meccanismo thriller che si fonda sull’insensatezza delle azioni di un serial killer tanto maniaco quanto fantasioso, ormai una specie di eroe negativo che si firma Jigsaw.
Il nuovo capitolo promette di parti- re dall’ultimo episodio in ordine di tempo (datato 2017) e si apre con una rivelazione: qualche vittima di Jigsaw lo aveva emulato. Addirittura, più di uno può aver appreso gli insegnamenti del criminale e fondato un’oscura setta che imita le gesta del sadico, seminan- do violenti omicidi. Su questi crimini indaga il detective Zeke Banks (Chris Rock) con l’inesperto collega William (Max Minghella) e un poliziotto più anziano, Marcus (Samuel L. Jackson). Proprio Zeke finirà per diventare uno dei bersagli del maniaco omicida.
Già la presenza di un attore da locandina come Samuel L. Jackson fa capire che i produttori hanno deciso di giocare in serie A. Il budget (comunque contenuto, pare intorno ai 20 milioni di dollari) non ha nulla a che fare con quello del modello originale, girato in soli 18 giorni. Cosa ci interessa in questa rubrica nella nuova storia che promette di ricalcare piste note agli appassionati, senza particolari novità? Le saghe horror sono ormai una tradizione in voga fin dagli anni ’70 e Nightmare ne resta uno dei più riusciti modelli.
La differenza cruciale sta però nello spirito voyeuristico che ha caratterizzato fin dall’origine le gesta di Jigsaw. L’immagine sullo schermo viene scientemente duplicata e incrudelita con le videocassette che l’enigmista lascia in mano alle sue vittime. E il fatto che nel nuovo capitolo ci si sposti dalla parte della legge (tre poliziotti sulle tracce di un serial killer, coinvolgendo uno di loro come potenziale vittima), non sposta la ragione che spinge i cultori della materia ad assieparsi in sala, in primis i teenager americani. C’è un gusto mediato dell’efferatezza sullo schermo che vince sulla plausibilità della trama e sull’interesse per i personaggi. Si va al cinema per godere del sadismo altrui, anche se il gusto splatter in questo senso ha trovato un alfiere di ben diversa caratura nell’Eli Roth di Hostel, non a caso prodotto da Quentin Tarantino.
Rispetto all’horror ideologico degli anni ’70 (Non aprite quella porta o gli Zombie Movies alla Romero), come agli esordi di Sam Raimi con La casa e John Carpenter con Distretto 13, il senso è stato rimpiazzato dalla forma, il mostro ha perso i connotati di un rimosso psicanalitico ed è diventato semplice macchina dell’orrore; la paura catartica è diventata perversione complice.
Con Saw, in fondo, siamo di fronte alla versione edulcorata dello stesso principio di sadismo esibito degli snuff movie, una delle forme più orribili di pornografia per immagini, salvo una conclusione evidentemente tranquillizzante, che ci tiene lontani dal consumo del vizio. Non a caso, prima dell’assuefazione che poi si è fatta moda, il primo Saw suscitò reazioni controverse tra i cinefili; oggi semmai si misura l’ultimo nato della casa rispetto ai modelli originali, ma di fatto basta controllare su IMDB per vedere come i 3⁄4 dei frequentatori promuovano la saga nei suoi vari cloni.
La nostra fantasia si nutre dell’orrore e lo assimila al quotidiano. Il vantaggio è che sullo schermo ci assolviamo in nome dell’irrealtà delle situazioni e per questo ne accettiamo le più improbabili carambole narrative. La morte e la crudeltà sono diventate un gioco (infatti abbiamo anche una versione per playstation di Saw) e la sala – o la piattaforma – i luoghi di culto del sacrificio umano. È una storia che ci rimanda indietro, alla civiltà tribale da cui proveniamo.