Il primo giorno della mia vita, il regista Paolo Genovese: «il mio film più bello»

Paolo Genovese racconta a Ciak il suo nuovo film, Il primo giorno della mia vita, in sala dal 26 gennaio, con un cast all stars: Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco

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Paolo Genovese

Emotivamente, è il film più bello che ho fatto”. Paolo Genovese in genere non ama né le frasi a effetto né le provocazioni verbali. Teorico dell’understatement, deve anzi ancora “incassare” per intero, dal punto di vista dell’immagine personale, la sfilza di record collezionati qualche anno fa da Perfetti sconosciuti, tutt’ora il film con il maggior numero di remake – ben 18 in giro per il mondo, dalla Polonia alla Corea – della storia mondiale del cinema. Ma il ragionamento su Il primo giorno della mia vita, il suo nuovo film, in uscita a fine gennaio distribuito da Medusa, lo porta dritto a quella conclusione, oltre a rappresentare uno spaccato di un modo di fare cinema consapevole delle responsabilità che si hanno nei confronti della settima arte quando si appartiene alla squadra (ristretta) dei migliori registi del Paese.

Come il precedente, Supereroi, anche Il primo giorno della mia vita è tratto da un suo romanzo. Racconta la storia di quattro persone diverse per età, estrazione sociale, vicende di vita – un uomo (Valerio Mastandrea), due donne (Margherita Buy e Sara Serraiocco) e un ragazzino (Gabriele Cristini) – stufe di combattere le avversità e pronte a farla finita. È qui che entra in gioco un misterioso personaggio, interpretato da Toni Servillo, che assicura loro di potergli regalare una settimana di tempo per scoprire come potrebbe essere il mondo in loro assenza. E se possibile, attraverso questo percorso, ritrovare la forza di ricominciare e innamorarsi di nuovo della vita.

Valerio Mastandrea, Toni Servillo, Sara Serraiocco, Margherita Buy e Gabriele Cristini, Il primo giorno della mia vita

L’idea alla base di un film – spiega il regista – non ha sempre una forza assoluta, ma deve essere connessa ai tempi. Il primo giorno della mia vita è davvero sintonizzato sul momento che stiamo vivendo, usciti come siamo da due anni di pandemia e circondati da cose che ci fanno paura, dalla guerra ai cambiamenti climatici. Credo sia arrivato il momento di provare a rialzarci, in tutte le direzioni, sia dal punto di vista sociale, sia da quello personale. E di fare del nostro meglio per riscoprire il senso della vita. Ho voluto dare il mio contributo”.

Il regista non è stato il solo a vederla in questo modo. Per capirlo, basta ascoltare Toni Servillo: “Ho ricevuto un po’ di tempo fa una telefonata di Paolo che mi chiese: “Ti va di fare un curioso personaggio sconosciuto che poco prima che quattro persone compiano un gesto dal quale non si può tornare indietro, gli mostra cosa perdono, dandogli una settimana di tempo?”. Ho capito che questo film avrebbe toccato il cuore dello spettatore. E in questo momento ne abbiamo bisogno, per questo ho accettato”.

Il film è stato girato lo scorso gennaio, in pieno lockdown. “E nonostante facesse un freddo cane – racconta Genovese – e le scene in esterno fossero tante, è stata una esperienza felice, grazie al contributo dei “miei” protagonisti”.

Mastandrea è un vecchio sodale del regista, “un amico e un grande attore” con cui ha girato sia Perfetti sconosciuti, sia The Place. Con Margherita Buy aveva girato “tanti anni fa la serie Amiche mie: è un’attrice straordinaria, perfetta anche in questo ruolo, dotata di una sensibilità, umanità e credibilità non comuni”. E con Sara Serraiocco, “era un po’ che volevo lavorare: è un’attrice curiosa nel nostro panorama. La definisco scherzosamente una scheggia impazzita. Perché in ogni scena ti sorprende, al di là di come tu immagini il personaggio che le affidi. Regala qualcosa di suo e di inaspettato. E il fatto di sorprendere, in un film è importante”.

Genovese non conosceva Servillo: “È uno dei migliori attori con cui ho lavorato. Ha l’entusiasmo di un esordiente e un approccio di estremo stimolo alla storia. Si regala completamente e ha un atteggiamento sempre costruttivo, e non solo riguardo al suo personaggio. Andai a casa sua a Napoli a incontrarlo, e sulla scrivania aveva quella che credevo fosse la mia sceneggiatura. Invece erano le sue note! Per cento pagine. Voleva discutere, commentare… Fantastico! È altruistico anche sul set, sempre pronto a fare un passo indietro se la storia lo richiedeva. Credevamo fosse un tipo austero, invece ha fatto gruppo, scherzato con gli altri, sempre con il sorriso. Faceva freddo e avevamo tante scene di pioggia, lui e Valerio erano sotto l’acqua all’una di notte, a gennaio, e mai una lamentela”.

Valerio Mastandrea, Toni Servillo, Sara Serraiocco, Margherita Buy e Gabriele Cristini, Il primo giorno della mia vita

Genovese definisce Il primo giorno della mia vitaun film sulla felicità e la sua ricerca, che parte da uno spunto drammatico. Ma è un percorso verso la luce. Un film di riscatto, scoperta, e riscoperta del senso della vita. È un film difficile. Quando si parla di questi temi c’è il rischio di cadere in retorica, nello sdolcinato o persino nel presuntuoso. È un rischio che ho scelto di correre. Mi piace anche il pizzico di surrealtà che c’è nella storia. No, non si può definire una commedia. Ma adoro esplorare storie diverse, mi serve, è uno stimolo. Sono passato dalla commedia più tradizionale al dramedy di Perfetti sconosciuti, a The Place, a Supereroi. E ora sto girando un film a puntate in costume, Leoni di Sicilia”.

Il regista romano ha preferito aspettare mesi per far uscire il film in sala piuttosto che vederlo direttamente sulle piattaforme: “La tv è ancora troppo piccola per metterci dentro tutto il lavoro che c’è in un film. E poi ci riempiamo la bocca di frasi a effetto sulla necessità di sostenere le sale, e allora è giusto fare qualcosa di concreto, metterci del nostro”.

Genovese ha idee chiare – e scomode – sul presente e il futuro del nostro cinema: “Viviamo un momento di transizione, di cui non si capisce molto. Ma si è capito che dobbiamo assumerci la responsabilità di meritare il pubblico. In sala non si va più in automatico, ma solo se c’è la percezione di andare a vedere un bel film. Dipende anche dagli esercenti tornare a una esperienza che sia superiore a quella televisiva: con begli schermi, e un audio all’altezza. E anche i distributori ci devono credere, con l’appoggio delle istituzioni. L’importante è non mollare e fare ciascuno la sua parte. Non possiamo essere ricordati come la generazione che ha fatto chiudere i cinema”.