3/19, se una notte d’inverno una donna

Silvio Soldini torna dietro la macchina da presa con il racconto della rinascita di una donna dopo un evento drammatico e inatteso. E si affida a Kasia Smutniak per dare anima a questa trasformazione.

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3/19

Una notte di pioggia a Milano, un incidente, l’incontro con Bruno, direttore dell’obitorio, un
imprevisto tuffo nel passato e la vita di Camilla, un avvocato d’affari, cambia per sempre. Mentre tenta di ricostruire l’identità di uno sconosciuto, la giovane donna comincia un’indagine che la porterà a (ri)scoprire una parte di sé chiusa a doppia mandata in un luogo dell’anima fragile e incerto. Parla di questo e di molto altro il nuovo film di Silvio Soldini, 3/19 (il titolo fa riferimento al terzo morto non identificato del 2019), interpretato da Kasia Smutniak, Francesco Colella, Caterina Sforza, Paolo Mazzarelli, Martina De Santis, Antonio Zavatteri e Anna Ferzetti, prodotto da Lionello Cerri e Cristiana Mainardi e distribuito nelle sale da Vision il prossimo 11 novembre.

Soldini, che scrive con Doriana Leondeff e Davide Lantieri, torna a raccontare una donna, ma lo fa con uno sguardo diverso, che si spinge in un mondo mai esplorato prima.

Qual è stata la scintilla del film?

L’incontro tra due idee, quella di Doriana Leondeff, che ha a che fare con la memoria e qualcosa che riaffiora dal passato, e con la mia sul cambiamento come rinnovamento, che spesso nasce da una pausa forzata e porta alla voglia ricominciare in un’altra direzione. Il tema del caso o destino attraversa da sempre il mio cinema, anche se declinato in modo diverso.

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Al centro di 3/19 c’è una donna che si rimette in contatto con la parte di sé più emotiva, che aveva tenuto chiusa. Il caso mette in moto un processo che la porta altrove, in lei nasce qualcosa che arriva a sbocciare alla fine del film, con un gesto inconsueto per chiunque di noi. Un gesto legato a un’espiazione, all’elaborazione di un lutto.

3/19

E poi c’è un altro tema importante che attraversa il film, quello del tempo. All’inizio viviamo in un tempo turbinoso, dedicato al lavoro, in cui Camilla come un soldato fa le cose che deve fare. Poi si scopre un altro tempo, il tempo di Bruno, e Camilla comincia a dedicarsi a quella parte di sé che aveva sempre trascurato.

Speravamo tutti che la pandemia fosse occasione di cambiamento e rinascita. Non ci sono segnali in questo senso, ma forse c’è chi ne ha approfittato per ridefinire le proprie priorità.

Una minoranza, però. La maggior parte di noi sta solo aspettando di tornare a com’era prima, senza pensare a cosa c’era di buono in quel rallentamento. Ma non è semplice.
Questa estate tre giorni di camminate in montagna mi hanno dimostrato come il tempo possa trascorrere diversamente e come la testa si alleggerisca.

Forse a una certa età questa esigenza diventa più forte. Certo, nella vita di tutti i giorni, quando si aprono momenti di lentezza li sentiamo come vuoti da riempire, ma non credo che il mondo sarà mai più quello di prima.

Nella seconda parte del film Camilla ci lascia scoprire la luce che filtra dalle crepe.

Kasia è molto convincente nella parte della Camilla dedita al lavoro, ma sapevo bene, avendola vista in altri film, che non avrebbe avuto problemi a mostrare fragilità e dolore. Nella prima parte del film usa il linguaggio molto tecnico degli avvocati di affari, oscuro, incomprensibile per chi non appartiene a quel mondo.

Una mia amica che fa lo stesso lavoro è stata fondamentale per scrivere il film, il linguaggio degli avvocati d’affari è criptico. Camilla vive in un mondo suo, parla una lingua sconosciuta e si scontra con un ragazzo che arriva da un altro mondo e che parla una lingua incomprensibile. Lo scontro tra due mondi inconciliabili produce conseguenze inimmaginabili. Nella scena finale Camilla ha un volto molto diverso dall’inizio del film.

Anche grazie all’incontro con Bruno, interpretato da Colella.

Conoscevo già Francesco Colella, un attore molto generoso e simpatico, che porta sul set grande allegria. Lui rappresenta un’altra vita, molto lontana quella di Camilla. È una persona che lei in un altro momento non avrebbe mai guardato, ma il caso la spinge a uscire dai suoi percorsi abituali e a raggiungere luoghi che non avrebbe mai visitato, frequentando persone prima invisibili per lei.

3/19

Il tuo modo di mettere in scena dipende sempre dalle storie che racconti.

Sto addosso a Camilla, ma non con uno stile documentaristico. Questa volta c’è uno sguardo più da cinema di genere. Insieme al direttore della fotografia Matteo Cocco abbiamo deciso di utilizzare il cinemascope con lenti anamorfiche e grandangolo, ottenendo interessanti sfocature e riflessi. E ci interessava una minore profondità di campo.

Con atmosfere mai viste prima nei tuoi film.

Perché non ho mai raccontato personaggi così altolocati, Camilla è una donna molto diversa da quelle che racconto di solito. Mi interessava il suo percorso nell’incontro con l’ultimo della Terra.

Un percorso del genere lo farebbe anche un uomo?

Direi di si, forse un uomo farebbe cose diverse, però. Un uomo abbandonato in autogrill come Rosalba in Pane e tulipani si sarebbe comportato in un altro modo.

La Milano del film è fatta di contrasti.

Perfetta per questa storia. Una città dove i piani alti e le terrazze dei grattacieli stridono con i luoghi popolari, dell’accoglienza, e con i giardinetti di case dell’hinterland. In nessun’altra città queste due anime così forti e situate agli estremi coesistono senza toccarsi. Milano non poteva che essere l’arena in cui avviene l’incontro tra due estranei.