Alessandro Borghi e la svolta in Supereroi

In "Supereroi" di Paolo Genovese Alessandro Borghi interpreta il protagonista di una storia d'amore che si sviluppa lungo il corso di molti anni

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Supereroi Alessandro Borghi
Alessandro Borghi e Jasmine Trinca in "Supereroi"

In Supereroi di Paolo Genovese, al cinema dal 23 dicembre con Medusa, Alessandro Borghi ricopre un ruolo non usuale nella sua carriera, che segna anche un punto di riflessione importante nel suo personale percorso professionale. Nei panni di Marco, il protagonista del film, Borghi è un docente di fisica all’università, con gli occhiali, un aspetto pulito e profondamente riflessivo, è molto distante dallo stereotipo dei personaggi più ruvidi che l’attore romano ha spesso interpretato.

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La vita di Marco si fonda sulla convinzione che tutto sia calcolabile e che il tempo sia solo una convenzione, ma l’incontro con Anna (Jasmine Trinca) e gli anni della storia condivisa con lei gli faranno cambiare opinione. Sembra un personaggio all’apparenza comune e semplice, ma Borghi riesce a far assorbire a Marco tutta la follia, l’imprevedibilità e il vissuto emotivo della lunga e intensa storia d’amore con Anna.

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Supereroi è un film che ha lasciato in Borghi una traccia importante e che ha cambiato il rapporto del giovane attore romano con il proprio mestiere.

Il mestiere dell’attore – ha raccontato Borghi a Ciak – è uno strumento al servizio della storia. La parte più divertente è provare a cambiare registro e buttarsi nel racconto cercando di essere il più possibile fedeli a quello che è stata l’idea del regista e dello scrittore. Supereroi è stato un film facile e quando dico facile per un film intendo qualcosa di bellissimo.

Quando i film sono difficili vuol dire che c’è qualcosa che non va bene. Un film può essere impegnativo fisicamente e dal punto di vista emotivo, ma la facilità nel mettersi sui binari giusti e nel lasciar andare tutta una serie di cose che fanno parte del personaggio e del racconto, è una cosa che non accade sempre”.

Come è stato lavorare in un film con un racconto così articolato?

Supereroi è stato un viaggio molto bello, siamo stati a Ponza, Marrakech, Copenaghen, Milano, non mi era mai capitato di stare così tanto in giro e di avere la possibilità di raccontare un personaggio così tanto, con modalità diverse. Abbiamo praticamente girato due film diversi: uno che racconta i primi dieci anni della relazione tra Marco e Anna e uno i secondi dieci.

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Mi ricordo una cosa che fa molto ridere. Il film prevede una parte della storia in cui il mio personaggio ha la barba e un’altra parte in cui è senza, io, che sono un rinomatissimo rompiscatole, ho chiesto a Paolo di cambiare il piano di lavorazione perché non volevo essere costretto a recitare con una barba finta. Con estrema fatica Paolo mi ha accontentato e devo ringraziarlo perché altrimenti mi sarei sentito un deficiente per metà del film”.

In che modo la storia di questa relazione, che si sviluppa lungo un percorso durato tanti anni, ha cambiato il suo rapporto con il tempo e con le persone?

Sono migliorato, ma ho sempre ancora la sensazione che mi servirebbero altre 14 ore in una giornata e questo non dipende mai da quante cose faccio. Tutta la mancanza di tempo la percepisco sempre quando non riesco a vedere delle persone a cui voglio bene, è una cosa che mi uccide.

A volte mi accorgo che sto lavorando da mesi e che da tanto non vado a cena da mia madre o non vedo la mia fidanzata, ultimamente sono stato tutto l’anno in montagna in mezzo ai lupi (per le riprese del film Le otto montagne di Felix van Groeningen, Charlotte Vandermeersch, ndr) e quindi non le ho viste tanto.

Quando torno a casa però e mi dico che ho bisogno di riposare, alla fine mi chiedo cos’è il riposo. Penso che ci si possa riposare dando il tempo agli altri, perché il tempo speso con gli altri nella mia vita è sempre stato quello migliore”.

Questo personaggio è molto diverso da quelli che interpreta abitualmente, sta cambiando qualcosa nella sua carriera?

Sì, la mia considerazione rispetto al mestiere di attore è molto cambiata negli anni. Mi sembrano passati 50 anni da quando ho fatto Suburra, in realtà è accaduto solo sei anni fa, ma sono successe tante cose.

All’inizio si è un po’ ossessionati dalla performance, vuoi essere il più bravo, dimostrare di saper fare un sacco di cose diverse, ma poi ho capito che questa è una parte assolutamente superflua di questo lavoro. Ora ciò che davvero conta è far parte di qualcosa di bello per me, non per gli altri, ma per me, anche se il feedback del pubblico resta una cosa meravigliosa”.

Teme le critiche?

All’inizio della mia carriera ero triste quando un film finiva, adesso invece sono molto felice, perché so che quello è il momento in cui il film inizia davvero e prende forma attraverso gli occhi degli altri e quindi accetti tutto, i mi piace, i non mi piace, accetti i “non sei bono a parla’ napoletano, siciliano, parli solo romano”.

Una volta mi sarei arrabbiato, adesso mi faccio una risata. Noi siamo molto fortunati a fare questo mestiere e ad avere la possibilità di farlo tanto. Non importa che l’idea piaccia a tutti, non mi interessa essere cattivo, bravo, buono, mi interessa essere parte di una storia che valga la pena di essere raccontata e ci sono ancora molte cose che mi piacerebbe raccontare”.