Beckett, la tragedia di un uomo qualunque

Ferdinando Cito Filomarino inaugura il 74° Festival di Locarno con Beckett, un thriller politico interpretato da John David Washington, dal 14 agosto su Netflix

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La storia straordinaria di un uomo ordinario, travolto da eventi più grandi di lui e costretto suo malgrado a lottare per sopravvivere. Beckett, il nuovo film del regista Ferdinando Cito Filomarino, chiamato a inaugurare il 4 agosto in Piazza Grande il 74° Festival di Locarno, e dal 14 agosto disponibile su Netflix, racconta infatti di un turista americano in vacanza in Grecia con la fidanzata che, in seguito a un terribile incidente automobilistico, si ritrova al centro di una misteriosa caccia all’uomo.

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Costretto alla fuga per salvarsi la vita, cerca disperatamente di raggiungere l’ambasciata americana dall’altra parte del paese, ma le autorità lo incalzano, la tensione cresce, la situazione politica diventa più instabile e la trama del pericoloso complotto in cui è intrappolato si fa sempre più fitta.

Interpretato da John David Washington, Alicia Vikander, Vicky Krieps (sugli schermi con Old di M. Night Shyamalan), e prodotto da Marco Morabito, Francesco Melzi d’Eril, Gabriele Moratti e Luca Guadagnino (con il quale Cito Filomarino ha collaborato in film come A Bigger Splash, Chiamami col tuo nome, Suspiria, Io sono l’amore) Beckett riporta il regista al festival svizzero dove era stato premiato per il suo primo cortometraggio, Diarchia (con Riccardo Scamarcio, Louis Garrel e Alba Rohrwacher), seguito da Antonia, sulla poetessa Antonia Pozzi.

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«Inaugurare il Festival di Locarno, cinefilo e popolare al tempo stesso, è un grande onore. Sarà emozionante vedere nuovamente riunite tante persone davanti allo spettacolare schermo di Piazza Grande e sentire risuonare il film in tutta la città».

Scritto da Kevin Rice, Beckett si inserisce in un filone di film che ha avuto maestri illustri.

«La prima idea però arriva dalla letteratura, quella inglese del primo Novecento: nel periodo tra le due guerre, politicamente teso e complesso, la caccia alla volpe è stata sostituita da quella all’uomo, e lo sport ha lasciato il posto all’urgenza, al pericolo. Sono nati allora libri che a loro volta hanno ispirato film appartenenti al sottogenere “manhunt movie”, che raccontano di un uomo braccato. Storie che sono tornate in voga negli anni Settanta quando, a causa della disillusione del Vietnam e della paura del nucleare, si
è aggiunto l’elemento della paranoia».

I tempi cambiano, e pure le paranoie, ma non spariscono.

«È interessante osservare la crisi personale vissuta dal protagonista all’interno del contesto di un paese perché intorno a un evento centrale con la sua verità, si costruiscono delle menzogne finalizzate al perseguimento dei propri fini, un meccanismo molto attuale».

L’idea è che non ci si possa fidare di nessuno e che il nemico è anche quello che pensiamo possa venirci in aiuto.

«Beckett si ritrova in una terra straniera, non conosce il greco e non riesce a decifrare i segnali lanciati dalle persone che incontra. Volevo costruire un personaggio drammatico che cade come per errore in un thriller».

La politica resta sullo sfondo, ma Cito Filomarino racconta: «Per comprendere i meccanismi di un complotto che sfrutta alcune news a vantaggio dei poteri del momento ho fatto molte ricerche sul caso di Emanuela Orlandi con le false piste che nascevano in quegli anni. Chi le generava?».

Quando ha interpretato Beckett Washington non era ancora diventato il protagonista
di Tenet.

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«John David ha la stoffa del grande attore, il corpo di una star di genere. L’abbiamo visto impeccabile, duro ed elegante, mentre qui è un uomo normale, che fatica anche a scavalcare una finestra, ma che nel corso del film inizia a ingranare qualche marcia».