Tár, le interviste a Todd Field, Cate Blanchett e Nina Hoss (VIDEO)

Dopo sedici anni Todd Field torna dietro la macchina da presa per dirigere Cate Blanchett in una delle sue più straordinarie interpretazioni. Dal 2 febbraio al cinema

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tár cate blanchett
Photo by Maurizio D'Avanzo

Ci è voluto un bel po’ per fare un altro film”. Questo ho detto a Todd Field quando ci siamo seduti per la nostra conversazione Venezia, proprio il giorno della prima mondiale di Tár. Sono passati sedici anni da Little Children, secondo film di questo regista, una volta attore, che racconta storie di potenti sentimenti. Era tale anche il suo esordio, In the Bedroom e lo è anche questo scorcio di vita di Lydia Tár, musicista e direttore d’orchestra di caratura mondiale che nasconde molti segreti. A interpretarla Cate Blanchett, che ha molte possibilità di vincere il terzo Oscar della sua carriera. Tár arriverà nelle sale italiane il 2 febbraio, distribuito da Universal Pictures. Ma come ha risposto Todd all’iniziale considerazione?

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«A volte ci vuole tempo, sì. Per ragioni poco interessanti, come voler fare ciò che desideri pensando valga il tuo tempo e quello di altre persone, ma purtroppo altri non sono dello stesso parere, o lo trovano troppo costoso. Poi avevo questa specie di strano desiderio di volere una vita al di fuori del cinema, che è il mio mondo dal 1985. Ho pensato sarebbe stato interessante esplorare una normale casa e famiglia.

Cosa l’ha spinta a esplorare invece la vita di una donna apparentemente così orribile?

Non penso che Lydia Tár sia orribile. Penso sia una persona complicata che, come molti artisti, abbia intrapreso una strada che ha richiesto un grande sacrificio per realizzare un sogno diventato un incubo. Da musicista si è trasformata in gestore di un ente burocratizzato, una posizione per cui servono competenze che con l’arte non hanno niente a che fare. Le decisioni che deve prendere sono politiche ed esulare dalla sfera personale. Sappiamo cose di lei che non ammiriamo, ma sono atteggiamenti molto umani e quando la incontriamo la sua vita sta per cambiare completamente.

C’è qualcosa di autobiografico in questo rapporto con un’istituzione burocratizzata?

Certo.

Benissimo. Ci sono cose bellissime in Tár. Prima di tutto il lungo piano sequenza durante la lezione di musica, incredibile.

Ho lavorato tre mesi per scrivere solo quella scena. È il momento cardine del film, la ragione per cui ho deciso di costruirci attorno una sceneggiatura, quindi ho pensato a lungo a come girarla. Un giorno ero in macchina,  parlavo con Florian Hoffmeister, il direttore della fotografia. e gli ho detto che dovevamo stare tutta la scena su di lei, senza tagli. Poi ho chiamato Cate e mi ha risposto che non era un problema, solo che era impossibile riuscirci. “Troveremo una soluzione” le ho detto. Abbiamo trovato la tecnologia giusta che ci permetteva di non far percepire la presenza della camera, che era esattamente quello che volevo.

La seconda considerazione è riguardo la scrittura. Tár è un thriller, un horror, una storia d’amour fou. Non era facile trovare il giusto equilibrio nella sceneggiatura.

Lydia Tár è un personaggio a cui pensavo da molto tempo. Sapevo dove e quando incontrarla e dove farla finire. Ed è stato difficile perché, come hai sottolineato, ci sono diversi generi nel film e poi ci sono le regole del cinema, mentre io me ne ero fissata solo una: restare sempre con lei. Ci sono al massimo due angolazioni in tutto il film, e solo due inquadrature che non coinvolgono direttamente Lydia. E questa scelta è direttamente collegata alla sua mania del controllo. Molti elementi dovevano intrecciarsi e trovare il loro punto d’incontro. Ci abbiamo lavorato in scrittura, sperimentato insieme a Cate, la maggior parte delle cose che abbiamo provato non ci sono nel film, era psichedelia che non fa parte di questa storia

A proposito di Cate Blanchett: Lydia Tár era lei sin dall’inizio.

Non ho mai scritto pensando a un attore. Neanche questa volta. Semplicemente quando ho iniziato, ho scritto su un pezzo di carta il suo nome, l’ho attaccato alla scrivania e ogni giorno la salutavo. Quando ho finito di scrivere e ho iniziato a parlare con la produzione mi hanno chiesto se avessi in mente qualcuno per il ruolo, ma essendo superstizioso dissi di no. Poi mia moglie mi disse che era meglio chiamarla, l’ho fatto e Cate ha accettato.

Da quel momento è iniziato il nostro rapporto di lavoro. Cate stava girando altri due film, finita la giornata di riprese si metteva al telefono o su zoom con me. Abbiamo lavorato così per circa un anno, finché non ci siamo visti a Berlino e lì abbiamo avuto altre settimane di persona prima di cominciare le riprese. Nel frattempo ha imparato a suonare il piano, a dirigere un’orchestra, a parlare tedesco e a usare un particolare accento americano. Mi è impossibile dire quando questo rapporto sia cominciato, ma so cosa ha creato.

LA NOSTRA VIDEOINTERVISTA A CATE BLANCHETT E NINA HOSS