LONDRA – Incontrare M. Night Shyamalan è sempre un piacere e Trap, sua ultima fatica, dal 7 agosto al cinema distribuito da Warner Bros. Discovery, è l’ennesima tappa di una filmografia variegata, caratterizzata dal colpo di scena che è diventato tratto distintivo del suo cinema.
La storia è semplice e intrigante: un padre porta le figlie al concerto della loro cantante preferita. Presto si accorge che qualcosa di strano sta accadendo. Tutto il concerto è in realtà una trappola per arrestare uno spietato serial killer che sicuramente è presente. Ma nessuno sa chi sia. Tranne lui. Perché è proprio l’amorevole genitore la preda che stanno cercando di catturare.
Night dimostra almeno dieci anni in meno dei 53 che racconta l’anagrafe, è un uomo rilassato e felice, la giornata in cui lo incontro segna la presentazione del primo lungometraggio di sua figlia Ishana, The Watchers. L’altra figlia Saleka Shyamalan è tra i protagonisti di Trap.
Night, partiamo dall’idea, un film ambientato in un unico luogo. Mi ha ricordato Omicidio in diretta di Brian De Palma.
Interessante, sai che non ci avevo pensato? Non lo vedo da quando è uscito, lo devo rivedere. L’idea è nata parlando con mia figlia Saleka. È una musicista, l’abbiamo sempre seguita in tournée e così ho scoperto tutto quello che succede a un concerto. Entrambi amiamo moltissimo, Purple Rain e ragionavamo su quanto sia raro scrivere un album solo per un film, in cui ogni canzone fa parte della narrazione e i personaggi sono organicamente protagonisti.
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Allora ho pensato che avremmo potuto farlo come una famiglia, scrivere un album e girare un film che unisse le due cose. Così abbiamo iniziato a parlarne, e all’inizio non pensavo di dirigerlo, solo di produrlo. Ma prima ho avuto un’idea, e a Saleka è piaciuta molto. E poi ho iniziato a cercare l’angolo giusto per raccontarla, e da lì sono nate tutte le situazioni che si susseguono nel film, e mi piacevano così tanto che alla fine ho capito di doverla dirigere. E così è venuta fuori la sceneggiatura più veloce che abbia mai scritto.
Un serial killer che è di fatto l’eroe della storia. Hai avuto qualche remora morale, oppure, come me, hai trovato la cosa incredibilmente divertente?
Esatto. È divertente. Fai il tifo per un assassino. L’idea di base viene dagli action anni ’90, come Il fuggitivo o Die Hard. Solo che la prospettiva è capovolta.
Come sempre nel tuo cinema ci sono tante sfumature di genere. I tuoi horror sono anche dei thriller che spesso sfociano nella commedia, come The Happening.
Certo, The Happening è incredibilmente divertente. Mentre si scrive, è importante non annoiarsi. E quindi dare sfumature diverse alla sceneggiatura. È questa miscela a rendere poi le storie anche divertenti. Da The Visit in poi ho iniziato a far emergere una maggiore dose di umorismo, perché far ridere il pubblico e poi farlo spaventare è un equilibrio interessante da raggiungere.
Parliamo di sceneggiatura, penso a Lady in the Water, in cui enunci una cosa molto importante, ovvero che raccontare una storia è un processo personale che deve essere teso all’universalità. È così anche per Trap?
Sì, lo è. Credo che tutti noi abbiamo una dualità difficile da affrontare. E questo film ne è una versione estremizzata. In primo piano c’è sempre la famiglia, ed è così per molti miei film. La minaccia della disgregazione è presente già in Unbreakable.
E in un certo senso nell’universo Shyamalan Trap è il contro altare di Unbreakable.
Hai ragione. Puoi scoprire che tuo padre è un supereroe, ma potrebbe anche essere un supercattivo.
Parliamo di Josh Hartnett, grande attore sparito per un po’, infastidito dalla sua stessa bellezza. Questo film è una grande opportunità per lui.
Josh è stato fondamentale. Tutto il film si basa su un personaggio che deve esplicitare gli estremi della natura umana, mostrarne la complessità e creare una connessione tra questi due estremi. E Josh lo ha fatto, e non so come. Lo avevo trovato fantastico nel suo episodio di Black Mirror. E anche in Oppenheimer. Ma quando lo vedranno in Trap, tornerà in cima alla lista.
Josh è una star di Hollywood vecchio stile, di quelle che ormai non ci sono più. Sta invecchiando in modo fantastico, molto affascinante, ma con tratti più interessanti di quando era giovane.
Secondo me oggi è ancora più bello. E penso che avere lasciato Hollywood ed essersi trasferito qui nel Regno Unito con la sua famiglia abbia contribuito. Che è un po’ quello che ho fatto anche io, andando a vivere in Pennsylvania. Abbiamo una visione simile della vita.
A questo proposito, possiamo considerarti una specie di freelance, producendoti da solo. Come ti trovi in questa condizione?
È l’unico modo in cui sento di poter lavorare. Dal 2015, da The Visit, il primo prodotto interamente da me, ho girato altri quattro film è sono stati tutti campioni d’incasso. Ho girato quattro stagioni di The Servant per Apple TV+ e sono state tutte in cima alle visualizzazioni della piattaforma. Credo che il pubblico riconosca l’integrità, e io sono un narratore che aspira a raggiungerli, facendo le mie cose senza mai ignorarli e con grande rispetto.
Ultima domanda: ci sarà il colpo di scena alla Shymalan anche in Trap?
Non me lo ricordo…