Falling, Viggo Mortensen: «Volevo fare il regista da 25 anni»

L'attore candidato all'Oscar per Green Book esordisce alla regia con un'opera intimista e toccante

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«Il desiderio di girare un film è nato da molto tempo, la prima volta che ho provato a ottenere il finanziamento per una sceneggiatura è stata 25 anni fa. Con Falling – Storia di un padre ci sono finalmente riuscito, ma ho dovuto aspettare di arrivare a sessant’anni per diventare un regista.

Spesso l’attesa però è una cosa buona perché si imparano delle cose lungo la strada e io da tutti i registi con cui ho avuto la fortuna di lavorare ho scoperto come evitare i molti errori tipici del principiante».

Fare il regista è stato difficile come immaginava, ma molto più soddisfacente del previsto e Viggo Mortensen, candidato all’Oscar nel 2016 per Green Book, attesissimo nei prossimi film di Ron Howard (Thirteen Lives) e David Cronenberg (Crimes of the Future), non vede l’ora di tornare dietro la macchina da presa.

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Dal 26 agosto con Bim è nelle sale italiane con la sua opera prima dove accanto a Lance Henriksen, Terry Chen, Sverrir Gudnason, Hannah Gross e Laura Linney interpreta John, la cui tranquilla vita in California con il compagno Eric e la figlia Mónica viene travolta dall’arrivo del padre Willis, costretto da una malattia a lasciare la fattoria per trasferirsi a casa di una coppia che disapprova. La convivenza forzata risveglia dolorosi ricordi sopiti, rialimenta la rabbia causata da anni di incomprensioni e infiamma nuovamente un rapporto gelato dal tempo e dal silenzio.

falling viggo mortensen

Non esiste d’altra parte una famiglia che non sia costretta a fare i conti con traumi, segreti, bugie e fantasmi del passato.

«È sempre meglio, sia per un nucleo famigliare che per la società intera – continua Mortensen – discutere e confrontarsi piuttosto che fare finta di niente. La difficoltà di comunicazione genera infatti conflitti e polarizzazione, odio e intolleranza che sono in fondo una sorta di pandemia. Bisogna imparare ad ascoltare le persone, specialmente quelle con cui non siamo d’accordo, sforzandoci di comprendere il loro punto di vista».

Falling – Storia di un padre è un film sulla memoria: cosa ricordiamo? come utilizziamo i nostri ricordi per vivere il presente e costruire il futuro?

«Ho cominciato a scrivere questa storia proprio per non dimenticare: immagini di mia
madre, frammenti di conversazione, cose accadute quando erano ancora molto vivide nella memoria. Quando ho riletto quegli appunti scritti in diversi momenti della storia della nostra famiglia ho trovato la struttura del film. Cerchiamo di controllare il passato per sentirci a nostro agio in un presente che ci confonde, mentre il futuro ci è sconosciuto.

Pensiamo di poter fare affidamento sulle nostre memorie convinti che siano fatti, mentre i ricordi sono una collezione di sentimenti. La storia che potrei raccontare oggi sarebbe diversa tra un anno. E se la raccontasse mio fratello sarebbe un’altra storia ancora. Rashomon insegna. Le memorie sono completamente inaffidabili, cerchiamo di controllare il passato ma è il passato a controllare noi».

Dai registi con cui ha lavorato, tra cui David Cronenberg, Jane Campion e Peter Jackson, ha
imparato molto.

«Prima di tutto che non è necessario preparare troppo e troppo presto le riprese e poi che bisogna accogliere le buone idee da chiunque arrivino. Quando abbiamo cominciato ho detto a tutti di non esitare a darmi consigli prima che fosse troppo tardi. La mia autorità di regista non ne avrebbe certo risentito».

Ha speso molti anni per capire il look del film, il team di collaboratori e le musiche, alle quali ha lavorato personalmente.

«Con la musica ho molta esperienza, montare le immagini e montare la musica è la stessa cosa perché entrambe hanno a che fare con il tempo, il ritmo. Con la musica sapevo bene cosa volevo ed è stato facile. E poi facendo tutto da solo come produttore non ho dovuto pagare un compositore».

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