Io vivo altrove!, Giuseppe Battiston, alla sua opera prima da regista: «c’è bisogno di messaggi positivi»

L’attore racconta a Ciak il suo primo lungometraggio dietro la macchina da presa, Io vivo altrove!, dove recita accanto a Rolando Ravello

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Giuseppe Battiston, Io vivo altrove!

Dopo una lunga carriera, che nel cinema gli è valsa tre David di Donatello e due Nastri d’argento per film come Pane e tulipani (2000) e Perfetti sconosciuti (2016) – solo per citarne un paio – e grandi successi anche in teatro, l’attore Giuseppe Battiston sceglie di dedicarsi alla regia con un film, Io vivo altrove, ispirato ad uno dei capolavori di Flaubert, “Bouvard e Pécuchet”, purtroppo rimasto incompiuto.

Da attore amo gli attori e mi piace lavorare con loro – racconta Battiston intervistato da CiakStimo molto quelli coinvolti per questo film, hanno dato tantissimo. Inoltre, avendo avuto alle spalle grandi figure guida, come Mazzacurati, Soldini e Zanasi, volevo realizzare un racconto in maniera autonoma».

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Il film, prodotto da Rosamont, Rai Cinema e Staragara, che sarà in sala dal 19 gennaio per Adler Entertainment, narra la storia di un’amicizia sorretta da ideali umani profondi e da un sano e gioviale ottimismo, come è nella natura del suo autore.

Chi sono i due protagonisti di Io vivo altrove?

Biasutti e Perbellini sono due amici che decidono di abbandonare la città e di andare a vivere in campagna secondo i dettami della natura. Non sono propriamente allineati al mondo o meglio, lo vedono in forma diversa dall’ordinario. Non mi sento di definirli due stupidi, anzi sono avanti, ma a modo loro, inseguono qualcosa in più.

Cos’è questo “qualcosa in più”?

È la capacità di credere in qualcosa fino in fondo. È il segreto di ogni successo. Loro si muovono in un ambiente ostile inanellando una serie di fallimenti, ma riescono mirabilmente nell’impresa di consolidare la loro amicizia e di sentirsi davvero vivi.

Il romanzo di Flaubert è molto moderno per certi versi, ma ha una vena molto critica nei confronti della sua epoca, il suo film invece ha uno spirito molto più positivo.

Da Flaubert Marco Pettenello, con cui ho scritto la sceneggiatura, e io abbiamo preso il desiderio dei due protagonisti di autosufficienza, che è una cosa che in questo momento si insegue tantissimo. Non ci è dato sapere cosa avesse in mente l’autore per loro, ma il fatto che manchi un finale per me è uno dei punti di forza, perché ho potuto dare al racconto la direzione che volevo io. Volevo che il film avesse un finale positivo perché credo che ci sia bisogno di messaggi positivi.

Cosa non facile in questo momento storico.

Questo film affonda le sue radici in tempi in cui non c’era ancora la pandemia e non si immaginava nemmeno una guerra tra Russia e Ucraina, ma non ho cambiato punto di vista. Amo pensare che sia fondamentale raccontare storie di figure che, anche se immaginarie, ci insegnino a stare meglio.

La vedremo di nuovo dietro la macchina da presa?

Sì, con enorme cautela ho iniziato a pensare ad un altro film, questa volta completamente originale