Jean-Jacques Annaud: “Notre Dame come una tragedia classica”

In un incontro il regista di Notre-Dame in Fiamme, dal 15 aprile su Sky, parla della complessità e del senso di questo film

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Jean-Jacques Annaud

Regista, sceneggiatore e produttore, vincitore di quattro César, con Notre Dame in fiamme Jean-Jacques Annaud realizza un’opera che aiuta ora a comprendere meglio l’incendio che tre anni fa ha tenuto il mondo intero con il fiato sospeso e che contribuirà alla ristrutturazione della stessa cattedrale. Il film è dal 15 aprile su Sky Cinema e in streaming su NOW.

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CIAK ha incontrato Annaud in occasione della presentazione di Notre-Dame in fiamme a Roma, dove il regista ha raccontato soprattutto del suo personale coinvolgimento nella realizzazione del film.

Notre-Dame in fiamme è un film sospeso tra finzione e genere documentario. Come mai questa scelta?

“Io adoro fare film che non siano facilmente catalogabili in un determinato genere, basta pensare a Il nome della rosa (1986). È un thriller che si svolge in un monastero nel medioevo in un luogo di erudizione, una cosa che non era stata fatta prima. Per Orso (1988) poi molti pensano che si tratti di un documentario, perché il personaggio principale è un orso; mi è stato addirittura chiesto chi fosse l’interprete dell’orso nel film.

Nel caso di Notre Dame in fiamme c’è questa commistione tra una storia vera, ma costruita come se fosse una un racconto di suspense. Vedendo il film ci si chiede se crollerà o se le opere custodite nella cattedrale potranno essere salvate. Anche il fatto che si svolga in un luogo sacro non è molto frequente. Amo uscire dai sentieri battuti quando faccio il mio lavoro”.

In che modo ha costruito la struttura narrativa del film?

Questa storia è una sorta di combattimento classico tra un personaggio che amiamo, Notre Dame, bella da oltre 850 anni, rispettata e adorata, contro un demone estremamente affascinante e fotogenico, il fuoco. Potrebbe essere una tragedia di Eschilo. C’è un demone furioso che attacca il simbolo universale del sacro e della bellezza. In più si aggiunge il tema dei soccorsi che devono salvare la protagonista e che invece non riescono ad intervenire perché ci sono diversi impedimenti“.

Cosa l’ha spinta a realizzare un film su questo tragico evento?

“Quando è accaduto ho sentito le notizie alla radio e ho pensato che si trattasse di un evento e talmente cinematografico che ci sarebbero stati migliaia di registi che avrebbero voluto realizzarne un film. All’epoca non pensavo che l’avrei fatto io. Quando un anno dopo il proprietario delle sale cinematografiche Pathé in Francia ha pensato di fare un documentario su questo argomento, ho cominciato a leggere moltissimi articoli, dai quali ho capito quanto fosse inverosimile la realtà dei fatti. Questo mi ha spinto a fare questo film, perché quell’incendio implica tutta una serie di eventi assolutamente incredibili e il fatto che nessuno fosse preparato ad una cosa simile. È un po’ quanto sta accadendo oggi purtroppo nell’Europa dell’est: tutto questo è il risultato della nostra incoscienza, ma anche della nostra incredulità”.

Come ha costruito i personaggi dei pompieri?

“Sono rimasto assolutamente sconvolto da questo mestiere, era una cosa che non conoscevo assolutamente. Ho voluto incontrare tutti quelli che si vedono nel film. La cosa che mi ha sorpreso quando i pompieri parlano del loro mestiere è che usano il termine vocazione. Per me era un termine legato alla fede, ma ho capito che a modo loro i pompieri hanno una fede: nel soccorso da prestare a persone, nella dedizione totale di se stessi. Quando ho chiesto al sergente che ha condotto le operazioni a Notre-Dame perché abbia voluto mettere a rischio la propria vita per salvare quelle che in fondo sono solo pietre, questi mi ha risposto: ‘Ma cos’è la mia vita accanto alle pietre di Notre-Dame’. Ne sono rimasto affascinato, sono persone assolutamente meravigliose”.

Come ha ricostruito gli ambienti di Notre-Dame che vanno a fuoco?

“Sono andato in varie cattedrali, in particolare in quella di Sens e a 100 km da Parigi, la più importante cattedrale gotica al mondo. Sens è più piccola di Notre Dame ed è costituita solo da tre navate, mentre quella di Parigi ne ha cinque. Quindi sono dovuto ricorrere ad altre cattedrali. Sono andato a Bruges per esempio. Ho scelto le immagini secondo quello che mi servivano. In studio abbiamo replicato molte cose su scala ridotta. Per l’ultima scena del film ovviamente abbiamo ricostruito la parte di legno, perché abbiamo dovuto distruggere tutto per riproporre l’incendio così come era.

Metà del film fa uso di scenografie e sono ricorso a dei grandi specialisti esperti di restauro dell’architettura medievale per realizzarle. Falegnami, carpentieri, architetti, tutte persone specializzate e abituate a lavorare sull’arte di medioevale. Avevo, inoltre, delle informazioni estremamente precise, sapevo dove si trovava un determinato pompiere in un momento specifico.

Per avere altre immagini ho pubblicato un annuncio su internet chiedendo ai testimoni dell’incendio che mi inviassero i loro filmati girati con il cellulare. In una settimana ho ricevuto 6 mila video, siamo arrivati a 20 mila video e per tre mesi un’equipe ha selezionato questi video che poi sono stati montati nel film come in una specie di puzzle. È stato estremamente gratificante accorgersi che avevamo così ben preparato tutto che le cose coincidevano”.

Come si è potuto verificare un incendio simile in uno dei luoghi più importanti per l’arte al livello mondiale e a quali considerazioni questo evento ci spinge?

“Il problema è stato che non si è pensato che Notre Dame potesse bruciare. La gente poi è rimasta talmente sorpresa e talmente frastornata che ci ha messo venti minuti prima di telefonare ai pompieri, non si pensava che fosse possibile. Poi c’era il problema del sistema di sicurezza, che era del tutto incomprensibile. Possiamo fare un paragone con quanto sta accadendo oggi in Ucraina: non si è voluto prevedere niente perché la guerra era considerata come una cosa impossibile e quindi nulla è stato fatto”.

Nel film lei si sofferma molto anche nel racconto del salvataggio di alcune opere che non solo hanno un’importanza del punto di vista artistico, ma anche hanno un grande valore dal punto di vista spirituale. Che rapporto ha lei con la fede?

“Quando si parla del salvataggio di Notre Dame molto spesso viene utilizzata la parola al miracolo, anche da chi non ha la fede. Questo accade perché la cosa è stata talmente inverosimile. Notre Dame doveva crollare e non è crollata, non ci sono stati feriti e tutti suoi tesori sono stati messi in salvo. Perfino la statua della Vergine Maria, che era molto vicina al punto in cui è crollata la volta, non è stata coinvolta, è rimasta assolutamente intatta, non era neanche sporca di polvere; il giorno dopo è stata ritrovata in mezzo a tutta una serie di travi che erano crollate dalla volta e che non l’avevano neanche è sbeccata.

Tutti noi usiamo la parola miracolo, ma solo il 10 per cento di coloro che la usano ha davvero fede. Io personalmente sono molto sensibile alla fede degli altri. Non sono un credente, ma amo molto i luoghi di preghiera e sono affascinato da sempre dalle rappresentazioni religiose. Come tanti, sono battezzato, sono cristiano, amo visitare le chiese, ma non sono credente.

Anche i pompieri sono nella stessa situazione, hanno la stessa mentalità: non hanno una fede di tipo religioso, ma hanno fede nell’altro, una fede che li porta a voler essere solidali. A me tutto questo sembra molto impregnato di sacralità. Non avrei fatto questo film se non avessi potuto rappresentarne un finale positivo. Ritengo l’ottimismo una cosa fondamentale”.

Quando potremo tornare ad ammirare Notre Dame in tutto il suo splendore?

“Si tratta di lavori estremamente complessi, è stato deciso di rifarla identica, ma penso che ci vorranno ancora 10 anni. Sono convinto però che sarà restaurata meglio di quanto lo sarebbe stata se non ci fosse stato l’incendio. Notre Dame era in cattive condizioni, aveva bisogno di restauro, però non c’era abbastanza denaro. Dopo l’incendio si è potuto contare sulla generosità di tanti donatori”.