Dopo un’escursione nel mondo immaginario di Povere creature! (2023) e in quello più storico de La favorita (2018), il regista greco, 5 volte candidato agli Oscar, Yorgos Lanthimos ed Emma Stone, 2 volte Miglior attrice agli Academy Award, tornano nuovamente insieme in Kinds of Kindness, presentato in concorso al 77° festival di Cannes, al cinema dal 6 giugno con Walt Disney Pictures. Nel cast anche Jesse Plemons, Willem Dafoe, Margaret Qualley e Hong Chau.
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IL FATTO
Diviso in tre episodi che vedono al centro la misteriosa figura di un certo R.M.F., Kinds of Kindness racconta le storie di un uomo senza scelta che cerca di prendere il controllo della propria vita, di un poliziotto devastato dalla scomparsa in mare di sua moglie e poi sconvolto al suo ritorno nel riscoprirla troppo diversa e di una donna appartenete ad una strana setta, determinata a trovare una ragazza dotata di una speciale abilità.
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L’OPINIONE
Una trilogia di fiabe, così Yorgos Lanthimos descrive Kinds of Kindness, un’opera che ha richiesto diversi anni di lavorazione, interrotta dalle riprese di Povere creature! e poi ripresa per essere presentata a Cannes 2024. Per questo film il regista greco è tronato a scrivere con il suo storico collaboratore Efthymis Filippou, con cui ha realizzato il successo di titoli come Dogtooth (2009), The Lobster (2015) e Il sacrificio del cervo sacro (2017).
E l’impronta originale del Lanthimos precedente a La favorita torna a farsi sentire con tutto il suo carico di stranezza, crudezza, tragico senso del ridicolo e sottile, bizzarro umorismo, ma con qualcosa di nuovo che affiora soprattutto nello studio dei personaggi.
Ciò che immediatamente colpisce è la scelta di far interpretare agli attori personaggi diversi in tre differenti storie, che di fatto non sono del tutto scollegate tra loro. Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe e Margaret Qualley incarnano ruoli di peso, spessore e consistenza di volta in volta diversi. Ciò, oltre a far emergere il talento degli interpreti nel modificare in un’unica pellicola i tratti, le movenze e i caratteri dei propri personaggi, crea anche nello spettatore un effetto di disorientato stupore, perfettamente aderente alle storie.
In un racconto che non pretende di offrire messaggi immediatamente comprensibili e lascia molta libertà di interpretazione soggettiva al singolo spettatore, Lanthimos sceglie di lavorare soprattutto sulla fisicità dei suoi personaggi. Dagli abiti che indossano ai movimenti dei loro arti, il regista si concentra soprattutto sulla materialità dei loro corpi messi al centro della scena e delle storie stesse, con tutta la loro carnalità e fragilità.
Inizialmente Kind of Kindness, racconta lo stesso Lanthimos in conferenza stampa a Cannes, avrebbe dovuto essere un unico racconto che viaggiava su tre binari paralleli, ma in corso di scrittura è stato chiaro che le tre storie avevano una forza sufficiente per reggersi da sole, in modo autonomo l’una dall’altra. Tutto parte dal concetto di controllo che alcuni individui riescono ad esercitare su altri. Il tema è assai evidente nel primo dei tre episodi in cui Jesse Plemons interpreta un uomo la cui vita è completamente assoggettata alla capacità manipolazione di quello che sembrerebbe essere il suo capo. Dal suo matrimonio alla scelta di non avere figli, i rapporti sessuali, l’abbigliamento e persino il cibo, tutto ricade sotto le rigide regole impartite dal personaggio di Willam Dafoe che riesce ad esercitare un’influenza psicologica assoluta su quello di Plemons.
Passando attraverso lo stato confusionale dei personaggi del secondo episodio, il più surreale dei tre, si arriva poi al racconto, solo in apparenza più scontato, del controllo esercitato dalle guide spirituali di una setta religiosa. Kinds of Kindness si regge sul filo sottilissimo di un unico personaggio, il misterioso R.M.F., a cui nell’arco dei tre racconti capita di essere ferito, aggredito, ucciso e persino riportato in vita, ma che non proferisce una sola parola nel corso di tutto il film.
Al culmine di eventi sempre più strani, drammatici e al tempo stesso ridicoli, ogni racconto si chiude naturalmente con un finale del tutto inatteso, che fa da perfetto contrappunto a storie che lasciano aperti diversi canali di riflessione dal punto di vista psicologico, sociale e in generale umano.
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Dogthoot, sempre di Yorgos Lanthimos, candidato per l’Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2011.