La Casa di Carta 5, intervista al regista Jesus Colmenar e allo sceneggiatore Javier Gomez Santander

Da oggi su Netflix la quinta e ultima stagione della serie spagnola divenuta un culto nel mondo. Il regista e lo showrunner: «Tutte le storie troveranno un epilogo»

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La casa di carta 5
La casa di carta 5

“Non abbiamo alcuna paura, sentiamo la responsabilità di dare al pubblico il gran finale che aspetta e questa lunga attesa è stata uno stimolo perché non ci ha permesso di rilassarci. Come non ci sarà alcun relax in questa quinta stagione in arrivo”. Parola di Javier Gomez Santander, sceneggiatore de La casa di carta, che da oggi è disponibile su Netflix con le prime cinque delle dieci puntate finali. Le ultime arriveranno a dicembre. Un addio difficile, che gli autori garantiscono esplosivo, la delusione non è un’ipotesi contemplabile, ma fino a dicembre non sarà facile per loro né camminare per strada, né andare a cena con gli amici, perché la domanda che si sentono già fare da quando sono finite le riprese è sempre la stessa: come andrà a finire? «In ogni riunione familiare tutti ti chiedono come finirà – sorride il regista Jesus Colmenar – Per strada ci fermano di continuo, ma ovviamente non possiamo dirlo a nessuno. Posso però anticipare che sono molto orgoglioso non solo per la fine della rapina in banca, ma per la fine di tutta la serie, perché tutto avrà un nuovo significato, sarà un viaggio emozionante, mi sento di garantire agli spettatori che risponderemo a tutte le domande aperte».

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Un finale diviso in due capitoli, che però troverà le prime risposte già dopo il primo, come lo stesso Alex Pina, showrunner della se- rie, ha spiegato: «Quando abbiamo cominciato a scrivere la parte 5, nel bel mezzo della pandemia, abbiamo capito che avremmo dovuto stravolgere le aspettative del classico formato da dieci episodi e abbiamo usato tutti gli strumenti a nostra disposizione per creare la sensazione di un finale di stagione o di un finale di serie già nel volume 1. Abbiamo scelto di usare un approccio estremamente aggressivo, che mettesse la banda alle strette. Nel volume 2 ci concentriamo maggiormente sulla situazione emotiva dei personaggi. È un viaggio attraverso la loro mappa sentimentale che ci collega direttamente al punto da cui sono partiti».

Ma dare l’addio al Professore e alla sua banda che ha stravolto per tanti anni le loro vite è stato quasi un lutto. «Da una parte – confessa Javier – è stato un sollievo, ma dall’altra un grande lutto. Dire addio a una cosa così grande, che abbiamo amato così tanto, è stato inevitabilmente triste, proprio per questo abbiamo voluto che l’ultima stagione fosse epica, con un gran finale, dal punto vista tecnico, della scrittura e della pandemia. Non ci siamo fermati, ma abbiamo voluto saluta- re la famiglia con cui abbiamo lavorato per oltre cinque anni. È stato un duro lavoro, ma ora siamo felici». C’è chi spera ancora in uno spin-off, chi auspica che qualcuno dei tanti personaggi, Professore e Tokyo in testa, escano dalla serie principale per camminare sulle proprie gambe in un’altra storia, tutta per sé. «In uno show come questo – aggiunge il regista – puoi avere uno spin-off su ogni ruolo. Ma è un’ipotesi difficile, vorrebbe dire creare qualcosa di completa- mente nuovo, mentre noi abbiamo costruito un unico universo con tutti questi ruoli da protagonisti». 

E nonostante la scelta del personaggio preferito risulti impossibile, perché sarebbe come decidere tra tanti figli, lo scrittore dalla cui penna sono usciti, una confessione se la lascia sfuggire: «Come scrittore – ammette Javier Gomez Santander – è una risposta difficile. Ma ciascuno ha le proprie preferenze: sono sempre stato orgoglioso del carattere del Professore, mi piace molto come lo abbiamo creato, è stata una delle più grandi sfide all’inizio, perché poteva distruggere così come dare successo allo show. Per fortuna si è avverata la seconda ipotesi. Detto questo, adoro tutti i personaggi, sono tutti parte della famiglia». Al regista invece sono rimasti nel cuore i ruoli meno centrali, come Arturito o Alice Sierra, nonostante il suo cuore batta, a ragione, per Tokyo.