La doppia vita di Madeleine Collins, la donna che viveva due vite

Il regista Antoine Barraud racconta a Ciak il suo nuovo film, La doppia vita di Madeleine Collins, con Virginie Efira nei panni di un personaggio dalla duplice identità

0

Judith vive in Svizzera, con il compagno Abdel e la piccola Ninon. Ma Judith vive anche in Francia, col marito Melvil, direttore d’orchestra, e due figli, che, come Ninon, non sanno nulla dell’altra famiglia. Ed è solo la proverbiale punta dell’iceberg per la protagonista de La doppia vita di Madeleine Collins, il nuovo lungometraggio di Antoine Barraud (Les Gouffres, Le Dos rouge) già in concorso alle Giornate degli Autori di Venezia 78 e nelle nostre sale dal 2 giugno con Movies Inspired.

«Tutto è nato dalla semplice immagine di una donna in un treno, che faceva andata e ritorno», spiega il regista a Ciak, «Lavoro sempre così per la sceneggiatura, tutto parte da un’immagine, e quest’immagine non riesco a dire a parole perché mi ossessioni. Poi prendo l’immagine e l’ingrandisco. In questo caso mi sono chiesto dove andasse la donna nel treno, da dove venisse». Ne è nato un personaggio femminile sfaccettato che ha il volto di Virginie Efira, vista l’anno scorso anche nei panni della monaca omosessuale Benedetta, al centro del lungometraggio omonimo di Paul Verhoeven.

Nel film di Barraud, l’attrice offre una notevole prova di giocata tutta in sottrazione, poiché, sottolinea il cineasta, l’enfasi spettacolare era «da evitare, perché la protagonista è una persona che mente, e chi mente cerca in genere di mantenersi su un livello ordinario, anonimo». Un dramma che può far venire in mente Hitchcock, per come si aggira, tra tensione e suspense (ai limiti del thriller), in un labirinto di ombre della psiche e doppie identità. Ma per il regista non è tanto La donna che visse due volte il riferimento di Madeleine Collins, poiché qui la protagonista «non doveva essere due personaggi diversi, ma sempre la stessa donna, anche se quando ha il ruolo della moglie del direttore d’orchestra è in un ambiente diverso, più borghese dell’altro».

Nondimeno, il film di Barraud si ispira dichiaratamente alla Hollywood classica, e in particolare a Il bacio della pantera di Jacques Tourneur: «Quel film è ambientato in un contesto estremamente borghese, dove tutto è pulito, le inquadrature sono fisse, benché sia un film fantastico, quasi un horror, che parla di animalità, di mostruosità». Una “mostruosità”, comunque, più interiore che esteriore: non a caso, pur senza sviluppi horror, anche in Madeleine Collins la protagonista diviene, per le scelte compiute e le contraddizioni della sua personalità complessa, una figura anomala e aberrante agli occhi di chi la circonda. Una vicenda da cui emerge tra le altre cose il maschilismo della società in cui si muove Judith.

«Non è una cosa che ho fatto consapevolmente», specifica al riguardo Barraud, «ma più andavo avanti con la scrittura, più questo aspetto diventava concreto. Per esempio, ci tenevo che il personaggio di Melvil, il direttore d’orchestra, non fosse eccessivamente negativo, un macho, un misogino, doveva essere invece una persona gentile, divertente, innamorata, alla Cary Grant. Però c’è in lui un maschilismo più “banale”, di cui non si rende conto: mentre è al massimo del successo, non si accorge di ciò che sta vivendo la moglie, del fatto che lei ha voglia di fare qualcosa per se stessa».

Da questo punto di vista, Madeleine Collins è anche, come l’ha definito la stessa Efira, «la storia di un’emancipazione femminile, fin dall’inizio», giacché, rimarca Barraud, «nelle bugie di lei c’è una forma di potere». Intorno a Judith/Efira, un cast importante quanto eterogeneo, che include un’icona come Jacqueline Bisset. Nella scelta degli interpreti, afferma Barraud, «la persona giusta non è necessariamente quella a cui penserebbe il direttore del casting. Per esempio, nel caso di Bruno Salomone [il marito di Judith, Melvil, ndr], che in Francia gira molte serie e fa dei film comici non sempre ottimi ma che è un bravissimo attore, molti sono rimasti sorpresi quando l’ho scelto, tanto più avendolo messo accanto a Jacqueline Bisset, che per me è una sorta di leggenda».

Tra gli attori c’è inoltre Nadav Lapid, regista e sceneggiatore israeliano Orso d’oro a Berlino 2019 per Synonymes. A lui Barraud affida una parte non poco significativa, quella dell’uomo che offre alla protagonista i documenti falsi per vivere la sua doppia vita. «Mi piace molto una sua frase», chiosa Barraud, «quando lei va a chiedergli i documenti: “Ci sono degli uomini che invitano a cena, io ti invito ad essere chi vuoi”»