IL FATTO
Torino, 1883. Lidia Poët è l’unico avvocato donna in Italia, ma la cosa non piace ai vertici della giurisprudenza del regno. La sua abilitazione viene cancellata e la giovane donna si vede costretta a chiedere asilo al fratello Enrico, anch’egli avvocato, che le concede di assisterla nei casi. Ma Lidia non si arrende, la legge e la giustizia sono la sua vita e lei ed Enrico, aiutati dal cognato Jacopo, valente giornalista, si ritroveranno a investigare su intricati misteri.
L’OPINIONE
La figura di Lidia Poët, quella vera, è da approfondire, un vero esempio di tenacia e modernità in un mondo maschilista e retrogrado. In questo senso la serie prodotta da Matteo Rovere (che dirige i primi due episodi) è ammirevole, perché permette a un pubblico giovane di conoscere una pioniera del femminismo e dell’uguaglianza di genere nostrana. Va detto che le sei puntate di questo legal/crime/drama/romance che strizza l’occhio ai classici televisivi del genere, tra Moonlighting, Ally McBeal e Mai dire sì, non hanno il loro punto di forza nell’originalità.
La prevedibilità dei casi in cui s’imbatte Lidia non aggiunge mordente a un impianto ricco di valori produttivi. Ambientazioni e costumi sono di prim’ordine, così come la colonna sonora, che sfrutta l’effetto Marie Antoniette, accompagnando le peripezie della protagonista con pezzi contemporanei di successo.
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Ottimo anche il cast, oltre l’ormai lanciatissima Matilda De Angelis, con note di merito in particolare per Sara Lazzaro, già apprezzata in Call My Agent – Italia, e soprattutto Pier Luigi Pasino, attore dall’importante curriculum teatrale che tratteggia un umanissimo e sfaccettato Enrico Poët. C’è da chiedersi perché nessuno tra cinema e serie si fosse accorto di un simile talento.
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