La magia della sala cinematografica secondo Steven Spielberg

"Il pubblico tornerà al cinema". Tra le pagine di Empire, Steven Spielberg ha condiviso la sua fiducia in un ritorno alla normalità

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Tra le pagine del numero speciale di Empire dedicato alla celebrazione del cinema e delle sale c’è un prezioso contributo di Steven Spielberg, autore che di momenti magici davanti al proiettore ce ne ha fatti vivere davvero tanti. Oltre a condividere alcune preziose esperienze personali (come la volta in cui da adolescente ha avuto modo di vedere Lawrence d’Arabia in 70mm), Spielberg ha scritto un accorato e appassionato pezzo sulla magia dell’esperienza cinematografica, spiegando anche perché – per quanto sia inattivo in questo momento – il cinema non morirà mai.

Le sue parole:

“Nell’attuale crisi sanitaria, con i cinema chiusi e le presenze drasticamente limitate per via della pandemia globale, ho ancora la speranza, al limite della certezza, che quando sarà di nuovo sicuro, il pubblico tornerà al cinema.

Mi sono sempre dedicato alla nostra comunità di frequentatori delle sale, intesi come persone che escono di casa per andare al cinema e provano un sentimento di comunità e vicinanza ad altri che hanno lasciato le loro case e sono seduti vicino a noi. In una sala cinematografica si guardano film con le persone significative della propria vita, ma anche in compagnia di estranei.

Questa è la magia che sperimentiamo quando andiamo a vedere un film, un’opera a teatro, un concerto o uno spettacolo comico. Non sappiamo chi siano tutte queste persone sedute intorno a noi, ma quando l’esperienza ci fa ridere, o piangere, o esultare, o riflettere, e poi quando si accendono le luci e noi lasciamo i nostri posti, le persone con cui ci dirigiamo fuori, nel mondo reale, non ci sembrano più dei completi estranei. Siamo diventati una comunità, simili nel cuore e nello spirito, o comunque simili nell’aver condiviso per un paio d’ore un’esperienza potente.

Quel breve intervallo in un cinema non cancella le molte cose che ci dividono: razza, classe, fede, genere o politica. Ma il nostro paese e il nostro mondo si sentono meno divisi, meno lacerati, dopo che un insieme di estranei ha riso, pianto, saltato dai sedili insieme, tutti insieme. L’arte ci chiede di essere consapevoli del particolare e dell’universale allo stesso tempo. Ed è per questo che, di tutte le cose che hanno il potenziale per unirci, nessuna è più potente dell’esperienza comunitaria delle arti“.