Dopo il film di Mira Nair del 2002 (Gli occhi della vita) e quello di Griffin Dunne del 2008 (Un marito di troppo), Uma Thurman non aveva partecipato alla produzione di altri film prima di questo La stanza degli omicidi, che esce nelle sale italiane il 6 giugno distribuito da Universal Pictures International Italy. E l’occasione era ghiotta, vista l’occasione di ritrovarsi in scena con Samuel L. Jackson a trent’anni dall’uscita del Pulp Fiction di Quentin Tarantino, se non fosse che la mano di Nicol Paone (regista del solo, e deludente, Invito a cena con disastro del 2020) non sembra quella più adatta a guidare lei e il resto del cast, completato dalla figlia Maya Hawke, Debi Mazar, Dree Hemingway e Joe Manganiello.
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IL FATTO:
Patrice (Uma Thurman) è la proprietaria di una galleria d’arte newyorchese costretta a fare i conti con delle difficoltà economiche. Gordon (Jackson) e Reggie (Manganiello) hanno un problema ancora più grande: come riciclare i soldi incassati organizzando colpi per la mafia. Un incontro casuale, favorito dallo spacciatore di Patrice, la mette in contatto con i due criminali, fondendo il mondo dell’arte con quello della malavita e trasformando di colpo un assassino nel fenomeno d’avanguardia di ‘The Bagman‘. Questa nuova liquidità, però, porta tutti a prendere pessime decisioni, e il nostro trio finirà presto invischiato in una disperata lotta per la sopravvivenza.
L’OPINIONE:
Pur divertente, la premessa del killer pittore, giustificata dal concetto che anche “il crimine è una forma d’arte”, e la scelta del suo modus operandi, restano troppo a lungo gli unici spunti sul quale si concentra il film che riporta Uma Thurman sullo schermo dopo l’ultimo Rosso, bianco & sangue blu (prossimo al sequel), nel quale interpretava la Presidente degli Stati Uniti. Un film che vive della sua presenza in scena – da protagonista – e dietro le quinte – da produttrice – ma che sembra affidarsi eccessivamente al suo nome e al suo essere una icona universalmente amata e riconosciuta.
A lungo, la Thurman pare abbandonata a sé stessa dal regista, libera di disporre della sceneggiatura e dei tempi comici di tutti, compresi Manganiello e Jackson, che pure ristabiliscono un minimo di equilibrio nelle scene che condividono con lei, senza però essere in grado di imprimere una svolta o una spinta a una materia che per troppo tempo non sembra andare da nessuna parte, o avanzare senza una struttura convincente.
Il risultato sono scene mal recitate, con anche gli altri grandi nomi lasciati in balia di se stessi in un anonimo habitat indie ingolfato di riferimenti e battute poco originali sul maschilismo tossico, sul dominio del mercato e sull’incomprensibilità dell’arte moderna. Non il massimo per evitare di trovarsi a osservare un noioso scorrere del tempo in attesa di un vero twist, un colpo di scena, una crisi da risolvere. O una sorpresa, che non sia quella del cognome della protagonista, ennesima dimostrazione di una mal indirizzata volontà di giocare col pubblico o mostrarsi ironici a tutti i costi (potete cercare su google cosa significhi “Capullo” in spagnolo).
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SE VI È PIACIUTO LA STANZA DEGLI OMICIDI, GUARDATE ANCHE…
Se proprio amate la commistione di arte e crimine e sentite la nostalgia di Pulp Fiction, allora meglio recuperare il The Forger – Il falsario del 2014, con John Travolta, l’indimenticato Vincent Vega del film di Tarantino.