La TV nel pozzo, in tv un racconto diverso della storia di Alfredino Rampi

Andrea Porporati si concentra sui media e sulle tante rielaborazioni dell'accaduto

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La TV nel pozzo RAI Alfredino Rampi

La vicenda raccontata nella miniserie televisiva del 2021 Alfredino – Una storia italiana, torna stasera in tv nel documentario di Andrea Porporati La TV nel pozzo, in onda venerdì 13 giugno alle 21:20 su Rai 2. Si torna a parlare di Alfredino Rampi, il bambino di sei anni caduto in un pozzo artesiano a Vermicino, alle porte di Roma, il 10 giugno 1981, e della lunga diretta (di 18 ore!) che fu seguita da oltre 21 milioni di spettatori e rappresentò una svolta epocale nel modo di fare informazione.

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Allora l’Italia intera rimase incollata ai televisori, sperando in un salvataggio che non arrivò mai, ma oggi quell’evento è al centro della produzione di Rai Documentari e KON-Tiki Film (in collaborazione con Rai Teche) dedicata al racconto che i media fecero della tragedia e che ripercorre la tragedia accompagnandola con la voce narrante di Fabrizio Gifuni.

È lui a raccontare ciò che i media costruirono attorno all’evento: una favola a lieto fine mancato, un racconto di cronaca che si trasformò in spettacolo, inseguendo la realtà fino a perderne il senso umano. Attraverso le immagini di repertorio e le testimonianze di giornalisti (Piero Badaloni, Pierluigi Camilli, Andrea Melodia, Massimo Lugli), ex soccorritori, psicologi, testimoni e artisti, il film analizza come quel trauma collettivo abbia plasmato la coscienza del nostro Paese e ne abbia influenzato la cultura.

In La TV nel pozzo si mescolano le lingue delle molteplici rielaborazioni da parte dei media della storia di Vermicino, televisive innanzitutto, ma anche letterarie, musicali, poetiche, per non parlare dei romanzi, la suddetta serie tv e le canzoni come la “Alfredo” del 2008 dei Baustelle, coinvolti nel doc nella figura di Francesco Bianconi, tra gli intervistati insieme a Giuseppe Genna, Marco Pontecorvo e i presidenti onorari della Onlus Alfredo Rampi, Daniele Biondo e Rita Di Iorio.

Ma anche graphic novel e murales, come quello inaugurato a Roma nel maggio 2022 (che vedete nella foto dell’articolo), di circa 70 metri quadrati e situato nel quartiere della Garbatella, via Rocco da Cesinale 2. Nella targhetta dello stesso – sulla quale, accanto al nome di Alfredo, è raffigurato il robot Mazinga Z – si legge:

“La città di Roma per te, Alfredo, affinché la tua storia continui ad insegnare e a trasmettere i valori della legalità, della solidarietà e l’importanza delle competenze. Grazie a te è nata la Protezione Civile, oggi al fianco di tutte e tutti noi con incessante impegno, Grazie Alfredo”.

Su questo ribaltamento del punto di vista sulla vicenda, e la volontà di concentrare l’attenzione sui media, vi riportiamo le parole dello stesso Andrea Porporati:

“Quello che un film documentario si propone è per definizione il racconto del reale. Ma in questo caso si vuole raccontare un tipo particolare di ‘realtà’, quella che i media hanno costruito attorno alla tragedia svoltasi nel 1981 a Vermicino, un sobborgo di Roma, trasformando la cronaca di un bambino caduto in un pozzo artesiano in una favola che si voleva a lieto fine e che invece è divenuta una tragedia senza sbocchi. Vuole raccontare la diretta tv a reti unificate che per ore e giorni ha inseguito la realtà di quel fatto così drammatico, personale, umano, facendola sfuggire tra le dita e incastrando un popolo di milioni di spettatori in un circolo vizioso di vita e di morte.

Il linguaggio del documentario mescolerà le lingue delle infinite incarnazioni che i Media hanno prodotto a partire dalla storia di Vermicino, televisive innanzitutto, ma anche letterarie, musicali, poetiche: da romanzi a canzoni e serie tv, da graphic novel a murales dipinti sui palazzi di Roma. La scommessa è capovolgere il punto di vista, puntare l’obiettivo non sulla storia di “Alfredino”, ma sui Media che hanno preteso di raccontarla, usando le telecamere o l’inchiostro delle rotative come la bacchetta magica di un apprendista stregone e venendone travolti, assieme a milioni di spettatori.

Umberto Eco in un suo saggio ha definito il racconto della tragedia di Vermicino come la fine della possibilità di raccontare la realtà. E ha sottolineato come questo allontanamento dalla verità, avvenisse proprio nel momento in cui, usando per la prima volta la diretta senza limiti di tempo e senza il condizionamento di una regia, di un montaggio, la televisione immaginava di “diventare” realtà, di incarnarla. E invece la strumentalizzava e ne veniva a sua volta strumentalizzata. Perché la realtà non ha linguaggio, non ha regole, semmai ha un destino. E non può che travolgere o fare impazzire chi cerca di intrappolarla, domarla, costringerla nello spazio di uno schermo“.

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