Nel sport come nella vita l’importante non è vincere. Ciò che conta è rialzarsi, continuare a correre. Anche quando capita di inciampare, di cadere. Anche quando il destino sceglie per noi strade diverse, forse più complicate e tortuose. Lo dice con un sorriso, ma con la stessa convinzione che dimostra in pista, Ambra Sabatini, una delle atlete italiane più amate e seguite. A lei è dedicato il film Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo (è stato presentato giovedì 8 maggio, come evento speciale per le scuole al Cinema The Space Moderno e in collegamento in contemporanea con altri cinema). Diretto da Mattia Ramberti, coprodotto da Giffoni Innovation Hub e BlackBox Srl e realizzato in collaborazione con Autostrade per l’Italia, racchiude in 60 minuti una grande storia di volontà. È una testimonianza vibrante di impegno sportivo, di inclusione, di crescita personale e collettiva.
Ambra, lo sport ha sempre fatto parte della tua vita, fin da quando eri piccola…
«Sì, sono sempre stata molto attiva. Nello sport trovavo la mia valvola di sfogo. A trasferirmi questa passione, per il movimento in generale ma senza mai forzare in nulla né me né mio fratello, è stato il mio babbo. Ci ha sempre spinti a provare attività diverse. E poi abbiamo trovato la nostra strada. Io prima con il pattinaggio artistico, poi con la pallavolo e infine con l’atletica».
Nel 2019 hai avuto un incidente in moto che ti è costato una gamba. Quel giorno è cambiato tutto. E forse è cambiato pure lo sport.
«L’incidente ha segnato un confine nella mia vita. In realtà è stato una rinascita a tutti gli effetti. Ho dovuto reimparare a fare tutto, da capo, dalle cose più semplici a quelle più complicate. È stato un percorso bello perché è stato come muovere i primi passi. Mi incuriosiva ogni cosa. E mi sforzavo di capire come tornare a farla al meglio. Non è stato semplice ritornare all’atletica. C’era la sensazione di un corpo estraneo. Un po’ ne ero spaventata perché temevo di non provare più quell’idea di libertà che mi aveva fatta innamorare di questo sport. Invece piano piano, con molta pazienza e il supporto di tante figure, ho ri-mosso i primi passi».
A Tokyo nel 2020 hai vinto la medaglia d’oro, facendo registrare il record mondiale nei 100mt. Con Martina Caironi e Monica Contraffatto avete acceso i riflettori sullo sport paralimpico. Le cose, in tal senso, stanno cambiando molto negli ultimi anni ma quanto bisogno abbiamo ancora di parlarne?
«Lo sport paralimpico sta vivendo da Tokyo un momento di fioritura. C’è stata un’evoluzione della tecnologia e delle prestazioni degli atleti, ma anche una certa apertura mentale verso le diversità. Io credo che questo interesse faccia bene a tutti, sia a noi atleti che alla società nel complesso. È importante che lo sport paralimpico cresca, anche se c’è ancora molto da fare. Vorrei vedere sempre più persone che lo guardano non solo per trarre ispirazione da una storia che può sembrare drammatica ma proprio per ammirare le doti di alcuni atleti che sono davvero incredibili. Se lo sport è superare i limiti, lo sport paralimpico è proprio l’apoteosi in tal senso. Quindi è giusto che si vada in questa direzione».
Sei diventata un simbolo e vai anche nelle scuole per Autostrade per l’Italia, come testimonial per il progetto sulla sicurezza stradale. Cosa racconti ai tuoi coetanei?
«È un progetto che mi appassiona tanto. Era uno degli obiettivi che mi ero data dopo l’incidente. Prima ho pensato a riprendermi, poi a tornare a fare sport e piano piano a condividere la mia storia, ad aprirmi con gli altri. Non è stato facile perché comunque ero molto timida. Penso sia importante promuovere una certa sensibilità sulla sicurezza stradale perché mi rendo conto di essere stata fortunata. Nelle scuole dico che bisogna fare attenzione. Racconto la mia esperienza e la mia storia che considero belle perché non tutti hanno avuto un lieto fine».
Nel film si vede tuo padre che, mentre parti per Parigi, ti dice: «Fatti onore. Poi se vinci, meglio». Quanto è ed è stato importante avere una famiglia così?
«È stato fondamentale, perché non ho mai avuto la paura o la pressione di dover dimostrare qualcosa a loro. L’unica pressione è quella di dimostrare qualcosa a me stessa, ma questa è una caratteristica di tutti noi atleti. Sono sempre stati presenti, non per spingermi ma per sostenermi».
La medaglia a Parigi 2024 non è arrivata perché capita di cadere, come ricorda il titolo del film, anche a pochi metri dal traguardo. Come ci si rialza?
«Parigi è stata un’esperienza molto forte e difficile da metabolizzare. Alla fine però sono riuscita a interiorizzare quello che è successo e anche a vederlo come un percorso giunto al termine. Alla fine di ogni Paralimpiade in fondo, sia che sia andata bene o male, ti trovi davanti a un bivio. Io ho deciso di andare avanti e pormi nuovi obiettivi. Guardare al futuro mi fa ben sperare e mi ha fatto tornare in campo, e anche aggiungere una nuova disciplina: il salto in lungo».