L’italiano che inventò l’America, la leggenda di Sergio Leone diventa un doc

Spielberg, Scorsese, Tarantino, Chazelle, Eastwood, De Niro raccontano il grande regista in L’italiano che inventò l’America, di Francesco Zippel, in sala dal 20 ottobre

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Racconta il figlio Andrea: «C’era una volta in America si doveva chiamare C’era una volta l’America ma mio padre disse che il titolo era troppo “presuntuoso”». Ci sono voluti quasi 40 anni e un bellissimo film documentario per farci capire che, almeno in quell’occasione, Sergio Leone fu troppo umile.

E forse non a caso il titolo del film dedicato al regista trasteverino, scritto e diretto da Francesco Zippel, (prodotto da Sky Studios e Sky Italia con Leone Film Group) presentato in anteprima mondiale alla Mostra internazionale di Venezia e in uscita in sala il 20 ottobre, ha un titolo molto più “presuntuoso” di quello del capolavoro di Leone: addirittura L’italiano che inventò l’America. Esagerato? No se a certificarlo sono registi di diverse epoche e generi, da Steven Spielberg a Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Giuseppe Tornatore e Damien Chazelle, il fumettista Frank Miller, attori come Robert De Niro, Eli Wallach (intervista del 2014), Jennifer Connelly e Carlo Verdone. Eppoi lo storico Sir Christopher Frayling. E logicamente Clint Eastwood, i figli Raffaella, Francesca e Andrea e vecchi spezzoni di interviste ad Ennio Morricone.

Centosette minuti di aneddoti vecchi e nuovi, di testimonianze illustri che ripercorrono la vita di Leone, un omaggio ad una delle grandi leggende del cinema mondiale, troppo frettolosamente passato alla storia del cinema solo per essere l’inventore degli spaghetti western. Un ritratto inedito di un uomo visionario e profondamente colto, che ha vissuto e respirato cinema sin dalla sua nascita e la cui produzione continua a vivere e a influenzare il mondo cinematografico. Il film nasce dall’incontro tra il regista Zippel e Raffaella Leone. «Da bambino rimasi folgorato da Il buono, il brutto e il cattivo – racconta Zippel – e quando Raffaella Leone mi propose di raccontare suo padre in un documentario, ho avuto l’impressione che tutto stesse tornando. Ho voluto provare non solo a raccontare Leone, ma anche a chiarire quanto il suo cinema e il suo genio creativo siano ancora centrali e fonti d’ispirazione per i più grandi cineasti contemporanei. Tutti i grandi artisti che hanno aderito al film ne sono la conferma più bella».

Già. Basta limitarsi ad ascoltare alcuni protagonisti della pellicola. Steven Spielberg: «Nessuno è mai riuscito a fare film come lui, riusciva a raccontare storie. Lo vorrei ringraziare per le tante idee che mi ha ispirato attraverso i suoi film. Per me sarà sempre il gigante sulle cui spalle ho potuto appoggiarmi». Martin Scorsese: «Lui è contemporaneo. La bellezza dei suoi film sta nel modernismo e nell’audacia. Lui e Peckinpah estrapolarono l’aspetto mitico dei film di John Ford e lo portarono verso un’altra direzione. In particolare verso il capitalismo, l’oppressione, lo sfruttamento». Non ha dubbi Quentin Tarantino: «Credo che i suoi film segnino l’inizio del cinema moderno. Ho imparato dalla grandiosità di come usava il dolby e da tutta la sua tecnica cinematografica e i suoi riti di montaggio. Ho imparato e assimilato tutto quello che potevo».

Ma anche i suoi colleghi più giovani lo omaggiano. Damien Chazelle, 37 anni il più giovane regista vincitore di un Oscar, descrive così l’eredità che ci ha lasciato Leone: «Ci sono peculiarità dei suoi film che rimangono in mente e non sembrano correlate ad un periodo specifico, i suoi film sembrano contemporanei come quando sono usciti e in teoria continueranno ad esserlo ancora per decenni a venire». Logicamente la parte più importante del film è dedicata ai western, dalla trilogia del dollaro a C’era una volta il West. Ma perché i western di Leone “inventarono l’America”? Sir Christopher Freyling, il massimo studioso del regista, ha una sua teoria: «Negli anni ’60 tutti adoravamo i film western, ma non credevamo a quello che rappresentavano. Quello che Leone riuscì fu raccontare una storia a una generazione che non ci credeva più».

Tutto giusto, ma non sufficiente a giustificare l’enorme successo dei western di Leone. Senza scomodare analisi sociologiche e concetti “alti”, la spiegazione del fenomeno la fornisce lo stesso Leone con un paragone molto semplice, ma efficacissimo: «Nei film di Ford quando un attore apre una finestra è sempre per guardare l’immenso futuro che ha davanti. Nei miei film quando aprono una finestra hanno solo il terrore di ricevere una palla in mezzo agli occhi». Allarga il discorso il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli: «Dopo che per 70 anni il cinema è stato l’arte della sintesi, Leone ci ha raccontato che il cinema può essere anche l’arte di raccontare l’attesa, che nulla sta succedendo e questa cosa apparteneva alla letteratura e non al cinema».

Zippel però non si limita al Leone regista, ma scava anche nel privato, nel rapporto con i suoi figli sempre presenti sui set, sempre al centro della sua vita. E ci fa scoprire un lato del suo carattere poco conosciuto, lontano dal Leone burbero e disincantato che tutti conosciamo. Lo fa con le lacrime di Jennifer Connelly, la dodicenne Deborah di C’era una volta in America, mentre ricorda il set del film: «Sergio è stato adorabile. Ancora mi commuovo se ci penso. Era così dolce perché era così paterno, premuroso e protettivo. Mi chiese se mi andava di girare la scena del primo bacio: “Possiamo farlo un altro giorno se non ti senti pronta”. Chi altro si comporta così?». Insomma, un film che rende giustizia al regista che da bambino sognava sulla scalinata di viale Glorioso, grazie alle testimonianze di artisti che hanno vinto 15 Oscar. Ma che alla fine non risponde alla domanda che da sempre i fan di Leone, e non solo loro, si fanno: come è stato possibile che L’italiano che inventò l’America non abbia preso nella sua lunga carriera nemmeno una nomination per la statuetta? Il titolo del prossimo film dedicato a Sergio Leone potrebbe essere I misteri di Hollywood.