Al Bergamo Film Meeting 2019 la rabbia e la poesia di Peter Mullan

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Della 37ma edizione del 37mo Bergamo Film Meeting (vincitore del concorso El motoarrebatador di Augustin Toscano, premio per la miglior regia a A decent Man di Hadrian Marcu), oltre alla ricchezza della proposta che esondava quella puramente cinematografica per affrontare altre dimensioni artistiche, come arte, fumetti, fotografia, musica, rimarranno nella nostra memoria due cose. La prima è l’umanità di Jean Pierre Leaud. Preceduto da una fama di ombrosità e imprevedibilità di carattere, si è rivelato una persona squisita, tenera nella sua fragilità e generosa di vita come i personaggi da lui interpretati. La seconda è la veemenza e l’autoralità del cinema di Peter Mullan, così profondamente radicato nella sua identità scozzese, da farne oggetto di una attenzione internazionale.

Peter Mullan

Potremmo definirlo un reporter della comunità delle periferie urbane, ma anche un ringhioso poeta da pub, che trova umanità e bellezza negli ambienti più degradati e oppressi da povertà, rabbia autodistruttiva, classismo. A ripercorrere la sua filmografia da regista (quella cospicua da attore lo vede volto noto in tanto cinema di impegno e di evasione, non ultima la prossima stagione dell’entusiasmante serie tv Westworld) emerge la fierezza di un uomo legato al suo ambiente, l’indignazione verso ogni tipo di oppressione e stortura sociale, un occhio che prende forza dal realismo arrabbiato per volare verso un immaginario effervescente e pop. Del resto, come ha affermato: “Il naturalismo e il realismo sociale mi annoiano, a meno che non siano magnificamente confezionati come nel caso di Ken Loach. Mi rendono irrequieto. Se uno ha immaginazione è giusto che la usi”.

Così, ad esempio, nel suo ultimo lavoro da regista, Neds (2010), sulla degradazione di un adolescente con notevoli doti come studente e amante dei libri che cresce, nei ’70, nei sobborghi criminali di Glasgow, tra bande di quartiere e una divisione ricchi e poveri che permea vergognosamente anche il sistema scolastico, non esita verso fine film, attraverso la mente ormai allucinata del ragazzo, a dare vita a una (brutta) statua di Gesù crocefisso che si trasforma in una sorta di teppista picchiatore dal sorriso beatamente ebete. Davvero Peter Mullan, scozzese doc classe 1959, con quattro corti (tra cui il tv Cardiac Arrest) e tre lungometraggi, è un cineasta da tenere assolutamente d’occhio e bene ha fatto Bergamo 2019 a omaggiarlo con una sua personale. Ecco qui i suoi cinque lavori cinematografici (come regista o attore) da vedere assolutamente.

My Name is Joe (1998).
Ex alcolizzato, tuttofare, allenatore di una squadretta di calcio, Joe Kavanagh cerca di agisce per gli altri, sino a complicare e complicarsi l’esistenza. Lo sperimentano un suo calciatore, Liam, e Sarah, un’assistente sociale di cui si innamora. Ken Loach, il degrado urbano, la difficoltà della solidarietà. Un Mullan così bravo da vincere il Premio a Cannes per l’interpretazione.

Orphans (1998).
Debutto cinematografico nel lungometraggio di PM. Alla vigilia del funerale della madre, i quattro figli si ritrovano a Glasgow per i preparativi. Sarà una notte lunga e tempestosa, in tutti i sensi. Tra gli interpreti, occhio a Gary Lewis, caratterista e volto ricorrente nel cinema dell’autore. Premio per miglior esordio alla regia alla Settimana della Critica a Venezia.

Magdalene (The Magdalene Sisters, 2002).
Nell’Irlanda del 1964, una brutta storia a rivelare il destino delle ragazze madri in una società bigotta e arretrata. Le Magdalene sono gli Istituti retti da suore, con severità che sfocia nel sadismo, in cui venivano rinchiuse ragazze difficili, dal comportamento poco irreprensibile o dal passato tormentato. Commozione e Leone d’Oro al Festival di Venezia.

Tirannosauro (2011).
Disoccupato, rabbioso, alcolista, Joseph vive nel ricordo dell’odiata/amata moglie. L’incontro con Hannah, altra anima disperata che lavora in un ente cristiano di carità, innescherà sentimenti positivi e uno scatto di dignità. Difficoltà permettendo. Grandissima performance di un Mullan brutale e ferino, diretto dal collega Paddy Considine al suo debutto come regista (e premio al Bafta).

War Horse (2011)
Steven Spielberg racconta dell’incredibile rapporto che si stabilisce tra un ragazzo e un cavallo. Un rapporto così duraturo da attraversare anche tutta la prima Guerra Mondiale dal fronte al ritorno. Mullan interpreta il padre, un contadino messo in difficoltà da traversie naturali e costretto a vendere Joey (il cavallo) all’esercito britannico, innescando tutta l’epopea. 6 le candidature agli Oscar.