BlacKkKlansman, l’incendiario Spike Lee racconta l’America razzista di ieri e di oggi

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BlacKkKlansman

Spike Lee mancava dal Festival di Cannes da diciassette anni (dai tempi di Jungle Fever, accusato allora di aver degradato la vita degli afroamericani), ma questa volta ci è tornato con BlacKkKlansman, una commedia cop-hardboiled in stile blaxploitation e uno spirito più incendiario che mai, conquistando standing ovation e il Grand Prix della Giuria presieduta da Cate Blanchett.

Si stenta a credere che sia una storia vera quella di Ron Stallworth (John David Washington, figlio di Denzel), il primo poliziotto nero di Colorado Springs, che nel 1972 riuscì a infiltrarsi nel Ku Klux Klan come membro di pura razza ariana rispondendo a un annuncio, per poi usare un alter ego bianco, il collega Flip Zinnerman (Adam Driver, protagonista quest’anno anche di L’uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam), quando si trattava di incontrare il “grande mago” David Duke (Topher Grace). Ma Zinnerman doveva a sua volta tacere di essere ebreo. Stallworth ha scritto un libro
sulla sua paradossale missione da cui è stato poi tratto il film. In sala dal 27 settembre.

BlacKkKlansman

Si ride, e tanto, nell’assistere a tutti gli equivoci che nascono dalla necessità di Ron di nascondere la propria identità sia ai membri del Ku Klux Klan che a Patricia (Laura Harrier), bellissima attivista black del movimento per i diritti degli afroamericani che il poliziotto sta spiando. «America first», «Make america great again»: gli slogan di Trump, che Lee non nomina mai, ma apostrofa con il temine motherfucker, finiscono nella bocca di Duke per dirci che la Storia torna sui propri orrori e che nonostante la sua patina vintage, le pettinature afro e i jukebox, i pantaloni a zampa e i colori pop, BlacKkKlansman è un film sul presente. «È una chiamata al risveglio», dice Lee, «perché quello che avete visto sullo schermo non riguarda solo l’America: la destra radicale e razzista è tornata in tutto il mondo. Ciò che accade oggi nel nostro Paese affonda le radici nel passato: gli States
sono nati dal genocidio dei nativi e dalla schiavitù. Nonostante tutto continuo a credere nella speranza, ma bisogna scuotere le persone dalle loro certezze. Non mi piace offrire soluzioni, bensì sollevare domande, provocazioni, discussioni. Non possiamo
farci scivolare tutto addosso, conosciamo bene la differenza fra il giusto e l’errore».

BlacKkKlansman
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Le ultime scene del film sono dedicate alle strazianti immagini degli incidenti di Charlottesville, Virginia, dello scorso agosto, durante la manifestazione di protesta dei suprematisti bianchi contro la rimozione della statua del generale Robert Lee, eroe
dei confederati nella Guerra di Secessione. «Quella tragedia è avvenuta al termine delle riprese e, appena ho visto cosa era accaduto, ho capito che quello doveva essere il finale del nostro film», continua il regista, «ma solo dopo aver avuto l’autorizzazione della madre di Heather Heyer, la ragazza uccisa. Mi sono detto: al diavolo tutto, mostrerò sul grande schermo cosa è realmente stato quell’incidente, cioè un vero e proprio assassinio, una vergogna per l’America intera». E lasciano sgomenti le dichiarazioni assolutorie pronunciate dal Presidente Usa. «Nel momento della tragedia quel tipo alla Casa Bianca, che non nominerò mai, non ha saputo dire neppure una parola giusta. Noi guardiamo ai nostri leader per avere una guida, per prendere decisioni importanti e invece ecco cosa accade,
non soltanto negli Stati Uniti. Siamo circondati da bugiardi e dobbiamo ribellarci. La questione non riguarda solo i bianchi e i neri, ma tutti i gruppi etnici perseguitati. Bisogna dire “Time’s Up”, il tempo per l’odio è finito».