Federico Buffa racconta: “Il cinema secondo me”

Il grande storyteller (non solo) di sport svela sul numero di Ciak di aprile i suoi programmi per Sky, gli spettacoli teatrali, ricorda Kobe Bryant e infine ci parla dell’amore per il cinema…Qui anticipiamo parte dell’introduzione e vi regaliamo alcuni esclusivi contenuti extra #BuffaSiRaccontaACiak

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Federico Buffa racconta
Federico Buffa racconta "Il cinema secondo me"

«Il cinema e lo sport hanno molte cose in comune a partire dal “movimento” e dal fatto che di solito si fanno in squadra. In inglese si dice motion picture. Motion, movimento…».

Federico Buffa, ex telecronista di pallacanestro, è uno dei più grandi storyteller contemporanei (non solo) di sport. 

Volto e voce di SkySport, ha scritto libri fondamentali per gli appassionati di basket (la serie Black Jesus, ed. Libri di Sport) e portato in teatro spettacoli magnifici come A Night in Kinshasa (sull’incontro Ali-Foreman) o Le Olimpiadi del ’36. Il suo lavoro in tv è profondamente impastato di cinema per ritmo, montaggio, colonna sonora, capacità di narrare attraverso immagini e parole.

Attualmente è in scena con Il rigore che non c’era, racconto multiforme e vario che prende spunto da un rigore “inesistente” concesso alla squadra argentina del Deportivo Belgrano nel 1958, per arrivare fino al mito di George Best. E infine con il nuovo spettacolo L’Odissea di Kubrick, dedicato al più grande regista della storia e in particolare alla genesi di 2001: Odissea nello spazio (primo capitolo della lezione per Ciak delle prossime pagine).

Chiacchierare con Federico Buffa è un piacere, per capacità evocativa e citazioni (cinefile, musicali o letterarie), come assistere a un suo pezzo teatrale o sentirlo parlare in tv di Ali, Michael Jordan, Andre Agassi o LeBron James.

Lo intervistiamo a poche ore dalla sua partenza per il Cile, dove sta andando per un paio di settimane in vacanza. «Andrò sull’Isola di Pasqua e nel deserto di Atacama, un vero luogo dell’anima. Riprendo gli spettacoli teatrali appena torno.».

Vedere Federico Buffa su un palco o in tv, colpisce ogni volta e destabilizza. La sua capacità di allestire un racconto vivo e pulsante è in netta antitesi con certo formale giornalismo sportivo freddo. Ha la capacità di emozionare ed emozionarsi (la commozione palpabile nel suo sguardo o la voce in parte spezzata quando parla di Árpád Weisz o di Muhammad Ali). 

Come riesce a trovare la giusta misura per non restare distaccato e al contempo non farsi sopraffare dall’emozione? 

«Per me non sono comparabili il giornalismo sportivo di cronaca e quello che faccio io. È molto più difficile fare l’attualità che raccontare il passato. Ho il privilegio di raccontare solo storie che vorrei ascoltare, storie che mi coinvolgono. Se puoi parlare di Muhammad Ali, il più grande sportivo del Novecento, di Luigi Riva o Gaetano Scirea, non puoi non essere emozionato. Vorrei essere un po’ più distaccato, ma non ci riesco…».

Presto, sempre per Sky, Federico presenterà una serie di film documentari sportivi: «Curerò l’“intro” di presentazione a ogni singolo documentario. Sono in tutto una decina di titoli, credo siano tutti lavori estremamente interessanti di racconto sportivo attraverso il cinema.»…

(l’integrale dell’intervista a Federico Buffa lo trovate su Ciak di aprile. Qui sotto invece trovate i capitoli “extra” della lezione di cinema di Buffa)

Hooked, ovvero il miglior doc sul basket

«Quello che credo sia il documentario più bello in assoluto sul basket, per racconto e messa in scena, è Hooked: The Legend of Demetrius Hook Mitchell (2003). È il documentario su Demetrius Mitchell, giocatore della Baia di San Francisco, di Oakland. Sia Jason Kidd che Gary Payton, ovvero i due più forti giocatori mai nati a Oakland, avendolo conosciuto, hanno detto: “Hook? Nettamente più forte di noi!”. Quel documentario ce lo fece vedere l’NBA durante una serie delle Finals. All’epoca Hook Mitchell era in galera (per rapina a mano armata, nda) e ci sono tanti passaggi che lo mostrano dietro le sbarre, mentre gioca prison basketball. La reputazione cestistica di quest’uomo, a Oakland, dunque una delle grandi capitali del basket, è incredibile. Payton non parla bene di nessuno, si ritiene Dio e dice: “Hook? No, no era più forte, più forte di noi!”. Tutti a dirgli: “Ma no, stai esagerando, ci prendi per il culo!”. “No, no, vi dico che era più forte!”.».

Il Cinema è il futuro di tanti campioni NBA

«Tanti giocatori NBA sono evidentemente portati alla recitazione! Kevin Garnett dà prova di essere un ottimo attore in Diamanti grezzi, Uncut Gems dei fratelli Safdie (visibile su Netflix, nda). LeBron James è bravissimo e iper autoironico nei panni di se stesso in Un disastro di ragazza, Trainwreck di Judd Apatow. Su quel set la gente era allibita per come questo giocatore di basket non avesse nessun problema a recitare o a muoversi in maniera così naturale fuori dal campo. Sicuramente LeBron farà altri film (Space Jam 2, ad esempio, nda)! Molti atleti americani hanno spesso esperienze di teatro. Tanti giovani americani al liceo vanno a scuola di recitazione. Prendiamo Steph Curry, che prima o poi farà sicuramente qualche film, tra le sue lezioni al liceo c’era Drama! Non è che appaiano così naturali e sicuri di sé proprio per caso.».

Lo sport nel cinema italiano? 

«Purtroppo il cinema italiano di sport è capace solo di fare “parodie”. Forse perché lo sport non si presta così bene alla commedia che è il tratto principale della nostra cinematografia. Lo sport ha una sacralità diversa, è più drammatico, quindi la commedia non riesce contenerlo.».

Cinema e calcio

«Ci hanno provato in tanti e sembra davvero uno sport “infilmabile”. Ogni volta che qualcuno prova a fare un film sul calcio secondo me è peggio della volta precedente. Piuttosto meglio un’opera come Bend It Like Beckham (ride, nda)! Del cinema documentario calcistico scelgo il doc ESPN su Garrincha… Quello era un lavoro davvero notevole!».

È uscito Ciak di aprile, la cover ai “Diavoli” Alessandro Borghi e Patrick Dempsey