L’uomo senza gravità, Marco Bonfanti e Elio Germano ci insegnano a prendere la vita con leggerezza

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L’uomo senza gravità

Un bambino, Oscar, parla con una coetanea in una stanza dai colori scuri. Si toglie una giacca e prende il volo, letteralmente. Una magia che fa sognare, specie se avviene a Cinecittà, a pochi passi da quel Teatro 5 in cui le navi felliniane andavano via. Ci troviamo, infatti, sul set de L’uomo senza gravità, un film su un bambino diverso dagli altri, incapace di rimanere ancorato a terra, che trascorre la sua infanzia insieme alla mamma e alla nonna.

L’uomo senza gravità

In sala il 21, 22 e 23 ottobre e poi disponibile su Netflix a partire dall’1 Novembre, L’uomo senza gravità è l’esordio nel cinema di finzione del documentarista Marco Bonfanti, apprezzato per L’ultimo pastore, in cui aveva spinto centinaia di pecore belanti, senza effetti speciali, a radunarsi nientemeno che a piazza Duomo. «È un piccolo kolossal per il cinema italiano, girato in sette settimane e mezzo», secondo il regista. «Il protagonista è lo strano in un mondo realistico, L’uomo senza gravità in tutti i sensi, leggero e tenero, all’interno di una società statica e faticosa, che cerca di capire come il suo non sia un handicap, ma un dono. È il tentativo di raccontare come aprirsi agli altri, essere buoni, non sia un difetto in un mondo e in un cinema iper violento. Spero possa portare al cinema le famiglie, questo finto biopic che si sviluppa dal 1985 fino al 2019, raccontando l’arco di una vita intera. Credo sia curioso vedere Elio Germano che vola in assenza di gravità».

L’uomo senza gravità

Guardando bene, si notano i cavi e un alto braccio possente che muove Oscar bambino, così come ha aiutato a volare pochi giorni prima Elio Germano, che lo interpreta da adulto. «Un, due, tre, stella», ripetono giocando i due bambini, girando più inquadrature di una scena, mentre Bonfanti è seduto dietro al monitor, circondato da una troupe molto
giovane. Una cucina e una stanza di una casa di provincia degli anni ’80, ricostruita con grande attenzione: una macchina da cucire consunta dall’uso, un servizio di piatti della domenica chiuso in una credenza appena spolverata, un orologio a pendolo e una carta da parati marroncina che ci ricorda i pranzi dai nonni. Gli interni sono stati ricostruiti dallo scenografo Tonino Zera, con pareti semovibili e soffitti a scomparsa. Esistono solo tre bracci come quello del film: uno è stato usato in Inghilterra per Harry Potter, un altro è in America, il terzo si trova a Roma, è stato impiegato per Clooney in Gravity e ora per far fluttuare in aria Elio Germano ne L’uomo senza gravità. «La sceneggiatura mi sembrava un libro di Calvino», ci ha detto con entusiasmo “mamma” Michela Cescon. «Una realtà mostrata quasi come fosse un documentario in cui io, mattacchiona, metto al mondo una persona così leggera da non avere gravità. Se credi alla prima scena, allora ogni momento è metaforico, ma allo stesso tempo realissimo. Un film originale, al di là degli effetti speciali, ambientato nella terra del regista, a Calvenzano in provincia di Bergamo, in cui recitiamo in una lingua leggermente dialettale. È stato faticoso lavorare con un bambino, ma anche divertente. La mia esperienza di madre con tre figli mi ha senz’altro aiutata».

L’uomo senza gravità

La nonna è interpretata da Elena Cotta, che ci racconta come «con la sua saggezza contadina intuisce subito che avrà una vita difficile, fuori dalla normalità. Lo difende in ogni modo, fino a che rimane in vita, sapendo che andrà incontro a momenti di infelicità». Quello di Oscar è un mondo visto dall’alto, fin da una prima scena, in una notta buia e tempestosa, di cui tutti ci parlano con eccitazione. In un ospedale di un piccolo paese nasce un bambino, che fluttua in aria appena esce dalla pancia della mamma, legato solo al cordone ombelicale. «È stata sicuramente una delle scene più interessanti a cui abbiamo lavorato, di grande emozione», ci conferma il supervisore degli effetti visivi, Stefano Leoni. «Il bambino è stato ricostruito in animatronic, ma verrà poi modificato con un importante intervento della computer grafica. Di solito ci chiamano per creare mondi fantastici o mistificare la realtà, qui invece l’effetto visivo è integrato nel film, con un livello narrativo superiore rispetto alla media del cinema italiano. Dopo vari test abbiamo usato un sistema di cavi e contrappesi applicato in motion control, in modo che fosse credibile l’effetto finale, ricreando le lievi imperfezioni con cui il corpo si muoverebbe in assenza di gravità. Non è stato facile, anche perché il cinema si sviluppa in un formato orizzontale, mentre qui abbiamo dovuto sfruttare la verticalità delle situazioni». L’uomo senza gravità è prodotto da Isabella Spinelli per Isaria Productions e Anna Godano per Zagora Film, con Rai Cinema.

MAURO DONZELLI