Cinema e calcio sono scesi in campo insieme. I protagonisti di Non ci resta che il crimine (in sala dal 10 gennaio 2019) Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Edoardo Leo, Gianmarco Tognazzi, Ilenia Pastorelli e il regista Massimiliano Bruno hanno incontrato Antonio Cabrini e Marco Tardelli a Coverciano il 4 dicembre. Fra i partecipanti anche il CT della Nazionale Roberto Mancini che ha regalato la maglia dell’Italia al cast del film. L’incontro è stato moderato da Marco Franzelli, vice direttore Rai.
RICORDI MONDIALI – Le due icone della gloriosa nazionale che vinse i Mondiali dell’82 hanno ricordato la loro Coppa del Mondo. «Siamo riusciti in un’impresa cui non pensavamo di arrivare e questo ha creato un bel gruppo unito. Avevamo l’uomo con la pipa, Bearzot, un allenatore molto severo ma che è sempre stato con noi» rievoca Tardelli. Ricordando il rigore sbagliato, Cabrini scherzosamente rivela le responsabilità di Paolo Rossi: «Passa dietro di me e mi sussurra: te la senti? Mi ha proprio portato jella!».
RITORNO AL 1982 – Prodotta da Fulvio e Federica Lucisano per Italian International Film (società controllata da Lucisano Media Group) con Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution, la commedia Non ci resta che il crimine è ambientata proprio nell’anno della vittoria dei Mondiali. Max Bruno ha dichiarato: «Abbiamo scelto il 1982 per unire due eventi memorabili dell’epoca: la Banda della Magliana all’apice del suo potere e i giorni gloriosi dei Mondiali. Giuseppe, il personaggio di Gianmarco Tognazzi, è creato a mia immagine e somiglianza: c’è tutta la mia passione e la mia conoscenza quasi maniacale del calcio».
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L’EUFORIA DELLA VITTORIA – Ricordando il suo mondiale Alessandro Gassmann ha rievocato una corsa sulla spiaggia ed un bagno notturno, Gianmarco ha invece raccontato i riti scaramantici che hanno accompagnato la visione delle partite in casa Tognazzi e la distruzione del salotto dopo la finale. E mentre Marco Giallini per l’euforia della vittoria con un gruppo di amici ha cappottato con la Cinquecento, Edoardo Leo che al tempo aveva dieci anni, si sentiva proprio un campione del mondo: quei mondiali lui, nel cortile con gli amici, li aveva giocati davvero.