Torino Film Festival 2018, Michael Powell e Emeric Pressburger cineasti visionari

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Scarpette rosse

Dopo Sir Alfred Hitchock, Michael Powell (1905-1990) e il suo sceneggiatore di origine ungherese Emeric Pressburger (1902-1988: ma impariamo a considerarli artisticamente quasi come un cineasta unico, come volevano loro quando, dopo aver fondato la ditta The Archers -Gli arcieri-, premettevano a ogni loro lavoro: “Un film scritto, prodotto e diretto da Michael Powell ed Emeric Presspurger”) è/sono senz’altro il più bel regalo che la Gran Bretagna abbia elargito al cinema.

UNA NUOVA RETROSPETTIVA – E dopo una ormai lontana retrospettiva organizzata dal Bergamo Film Meeting, sacrosantamente bene ha fatto il direttore del Torino Film Festival, Emanuela Martini, da sempre loro devota e fan, a volere una loro retrospettiva nel “festival del cinema giovane” per eccellenza e definizione. Perché nei loro 20 (in totale) lungometraggi realizzati insieme (avevano cominciato a collaborare nel 1939, con La spia in nero e hanno smesso nei ’60), hanno proposto un tipo di cinema “giovane”, anticipatore, totale nel suo desiderio di utilizzare al massimo potenziale possibile ogni elemento della creazione artistica collettiva (cosa per i quei tempi esteticamente anticipatrice oltre che inusuale, visto il primato che si dava allora di volta in volta al regista, allo sceneggiatore, agli attori, al produttore), persino “delirante” (in realtà sorvegliatissimo), per usare un termine caro a molti critici.

I CAPOLAVORI CHE HANNO FATTO LA STORIA – Da Gli invasori (1941) a Colpo di mano a Creta (1957), due film di guerra, il duo espresse un cinema – specie quando passarono al colore – fiammeggiante, con personaggi, magari compassatamente british ma dominati da ossessioni devastanti (sia nel mèlo che nel musicale, e persino nei toni più leggeri), con riprese di ardita concezione estetica e formale. Da loro sono nati capolavori cult come Duello a Berlino, 1943 (che Churchill osteggiò perché in piena guerra osava presentare l’amicizia tra un inglese e un tedesco!), Scala al Paradiso (1946), Narciso nero (1947), Scarpette rosse (1948), I racconti di Hoffman (1951).

Scarpette rosse

UNA FONTE DI ISPIRAZIONE – La loro poetica così espressivamente “bigger than life”, grondante colore e spericolata nella forma, influenzò poi in maniera indelebile la veemente passionalità dei rinnovatori ribelli e cinefili del cinema americano dei ’60, a partire da Coppola e Scorsese (anzi quest’ultimo senza la lezione di Powell probabilmente non avrebbe mai potuto strutturarsi e connotarsi in maniera così incisiva e originale). Tra l’altro, mentre Pressburger meditava di andare in pensione (ma nel 1966 l’ex socio inglese utilizzò un suo script per Sono strana gente, con Walter Chiari), Powell anche da solo si segnalò con almeno un folgorante capolavoro horror, forse il più metacinematografico dei suoi film, certo il suo più auto-riflessivo, quell’Occhio che uccide (1960), oggi considerato imperdibile ma allora, proprio per la sua angosciosa originalità, mal capito e persino bistrattato. Torino ci regala oggi l’opportunità di rivedere “in infilata” completa (più qualche titolo targato solo Powell) il loro cinema, al contempo d’autore e popolare, antesignano e rigonfio di umori, assolutamente da ristudiare. Grazie.