Continua il tour dei festival di cinema mondiali del film della regista Marielle Heller (Copia originale, Un amico straordinario) in vista dell’uscita di dicembre, quando il Nightbitch presentato al Tokyo Film Festival 2024 arriverà nei cinema statunitensi. Un interessante adattamento dell’omonimo romanzo d’esordio di Rachel Yoder del 2021 che aspettiamo di vedere anche in Italia, e un’esplorazione profondamente originale della maternità e dell’identità più che un horror (come spesso viene definito), che oltre a porsi come uno dei film più discussi dell’anno è sicuramente uno dei più intriganti – anche grazie all’interpretazione di una sorprendente Amy Adams – e dei già accreditati come “sorpresa” ai prossimi Oscar 2025.
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IL FATTO
Una ex artista e curatrice di mostre (Amy Adams) vive ormai in periferia, dedicandosi completamente al suo nuovo ruolo di mamma – di un vivace bambino biondo – e casalinga. Tanto oberata di lavoro e travolta dagli impegni quotidiani da non avere il tempo di occuparsi più delle proprie curiosità intellettuali e del suo vecchio lavoro, oltre che di prendersi una pausa e dedicarsi un po’ a sé stessa, senza che il marito (lo Scoot McNairy di A Complete Unknown) si renda conto della situazione, anche lui distratto dai suoi obblighi. Sempre più frustrata, per l’impossibilità di entrare in contatto con le sue amiche ‘di città’ o con le altre mamme del Baby Book Time della biblioteca, la donna trova uno sfogo imprevisto quando lascia le sue emozioni e i suoi istinti liberi di emergere, facendo risvegliare dentro di sé qualcosa di primordiale e ferino – che solo gli animali sembrano riconoscere – e trasformandosi.
L’OPINIONE
Una stupida, costretta in una prigione creata da sé stessa, condannata a non essere “Mai più felice o intelligente”, questa è la casalinga Amy Adams protagonista di un film che sin dalla prima scena si presenta come esplicitamente spiazzante. E divertito. Intanto nel presentarci la sei volte candidata all’Oscar burrosa e florida come non mai, neo mamma disperata e consapevole insieme, innamorata del proprio piccolo e sua vittima, rassegnata e rancorosa nell’affrontare l’esperienza che l’attende.
Quella della maternità – ovviamente, desunta da quella creata da Rachel Yoder nel suo originale bestseller – ma anche quella della trasformazione della ‘Madre’ in questione (un personaggio talmente universale da non essere nominato), sulla carta molto più esplicita di quella sfumata e ambigua della versione restituita dalla Heller. Tanto ambigua e sfumata da rendere arduo poter definire un “horror” una storia tanto abile a giocare con gli stereotipi, ma soprattutto con l’abitudine e la pigrizia mentale di noi spettatori a riempire certi vuoti.
Quelli delle associazioni suggerite, in primis tra la donna e il cane in cui si suppone che si trasformi. Momento del quale si resta in attesa a lungo, senza che nel frattempo appaia mai niente di esplicitamente violento o disumano. A meno di non considerare tale il ‘giocare a fare i cani’ che la Adams mette in scena con il figlio (in realtà due fratellini, Arleigh ed Emmett Snowden), e nel quale ribalta completamente il paradigma impostole dalla società, la tradizione, le abitudini, l’educazione o ‘semplicemente’ il confronto stesso con le altre donne, madri o meno.
E in attesa del body horror, del gore, dell’effetto, ci si scopre spettatori di un film nel quale al centro non è tanto il rifiuto della genitorialità, tout court, quanto piuttosto del ruolo cui le donne – e le madri – sono sottoposte, e si sottopongono, in un gioco sadico nel quale nessuna delle altre deve essere libera così da sentire più leggera la propria singola pena. Un gioco divertente da seguire fino alla conclusione, o alle conclusioni… che forse avrebbero potuto essere diverse queste, o più netta, o allegorica, quella. Possibilità poco importanti, considerata la coerenza della regista nel non assecondare il gusto, le aspettative, il bisogno del pubblico. Ulteriore merito di una regista alla quale siamo grati di aver permesso alla Adams di regalarci una interpretazione così impavida e ferocemente intelligente.
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Sono molti i film ad aver parlato in maniera ‘diversa’ della maternità – tra gli ultimi …e ora parliamo di Kevin e La figlia oscura, o gli horror come Hereditary e Mama – anche se per l’utilizzo organico e naturale dell’allegoria e la connessione tra ‘animalità’ e genitorialità, ci piace affiancare a questo il The Animal Kingdom di Thomas Cailley.