No Time to Die, Daniel Craig cambia la narrativa Bondiana

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James Bond, No Time to Die

Aveva promesso un finale col botto e così è stato, senza fare alcuno spoiler (sarebbe un crimine contro gli spettatori), possiamo confermarvi che Daniel Craig ha tenuto fede alla promessa fatta, innanzitutto a se stesso, di lasciare un segno indelebile sul suo James Bond con questa trionfale quanto imprevedibile uscita di scena, in No Time To Die, film che incarna al meglio la necessità fisica di tutti noi di tornare in sala, per godere il grande cinema su grande schermo.

La quinta ed ultima performance dell’attore nei panni di 007 completa in No Time To Die quel processo di mutazione iniziato nel 2006 con Casino Royale e che da allora lo ha visto recitare l’agente segreto più amato del mondo nel modo cinematograficamente più “realistico” della sua storia.

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Il Bond di Craig è implacabile e feroce quanto necessario, ma dal punto di vista fisico ha subito in questi cinque film più ferite e batoste di qualunque suo predecessore, tanto da metterne più volte in pericolo la permanenza al servizio di sua maestà britannica. Non è questa però la vera novità che emerge dalla sua ultima interpretazione.

Il regista e sceneggiatore Cary Joji Fukunaga infatti, affiancato da un team di scrittura che comprende Neal Purvis, Robert Wade e Phoebe Waller-Bridge, ci mostra qui la più grande e inaspettata fragilità dell’ex-supermacho, il womaniser da una botta e via immaginato da Ian Fleming e incarnato dalle larghe spalle di Sean Connery: Craig no, lui ha un cuore sensibile che ancora oggi lo porta a piangere Vesper Lynd/Eva Green, amata nonostante tutto e persa in Casino Royale.

Il Bond di Craig oggi è andato in pensione per godere i piaceri della vita di coppia con Léa Seydoux/Madeleine Swann, ma il passato ritorna prepotente a intralciare il suo buen retiro e tra inseguimenti acrobatici, esplosioni e un cattivo che (pur scritto e interpretato ben prima dello scoppio della pandemia), suscita inquietanti echi con quanto vissuto da tutti noi per la minaccia del Covid, si mette a nudo come mai prima d’ora, rivelando persino un’anima melò e un finora impensabile desiderio di famiglia.

Chiunque scriverà il prossimo Bond e chiunque lo incarnerà dopo Craig, non potrà fare a meno di tener conto della rivoluzione che da ora è insita nel Dna del personaggio, non più legato agli stilemi ormai datati immaginati da Fleming, ma calato corpo e mente nella realtà di oggi: uomo consapevole del 21° secolo, prima che imbattibile agente segreto.