Noi ce la siamo cavata, il viaggio tra i ricordi della terza B di Corzano

Presentato fuori concorso al TFF il docufilm che celebra i 30 anni di Io speriamo che me la cavo

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“Che fine hanno fatto i bambini di Io speriamo che me la cavo?” Ce lo raccontano Giuseppe Marco Albano e Adriano Pantaleo (proprio lui, il Vincenzino del film) con Noi ce la siamo cavata, un docufilm concepito per raccontare, tra ricordi, filmati inediti e interviste, le vite di quei giovanissimi attori che trent’anni fa furono i protagonisti del cult cinematografico di Lina Wertmüller con protagonista Paolo Villaggio. 

Io speriamo che me la cavo è diventato subito uno dei miei film preferiti da bambino, perché girato a pochi chilometri dal mio paese, vicino Taranto – ha spiegato il regista e produttore Marco Albano – Quando ho incontrato Adriano la prima volta, gli ho chiesto che fine avessero fatto tutti gli altri bambini e quando lui mi rispose “me lo chiedono tutti” abbiamo capito che dovevamo farne un documentario”. 

In questi 30 anni mi hanno proposto diversi progetti su quel mio primo film, ma ho sempre sentito che non era il momento giusto – racconta Pantaleo. – Dopo l’incontro con Giuseppe si sono andate ad incastrare tante cose, l’avvicinarsi dell’anniversario dei 30 anni, poi l’Oscar a Lina Wertmüller e il momento è finalmente arrivato”.

Un progetto lungo tre anni, sospeso e poi ripreso causa Covid, che ha portato Marco Albano e Pantaleo, anche produttori con le rispettive Mediterraneo Cinematografica e Terranera, a visitare di casa in casa, tra le vie di Napoli e non solo, gli ormai cresciuti ex compagni della celebre terza B della scuola elementare di Corzano, il paese (immaginario) in cui è stata ambientata la storia. Per alcuni la vita non ha avuto un andamento lineare, ma tutti quei piccoli attori selezionati dopo migliaia di provini, e che oggi sono madri e padri, alla fine hanno trovato la propria strada e non hanno mai dimenticato quell’esperienza incredibile.

«È stato un viaggio all’interno di tanti ricordi che avevo e tanti che non ricordavo di avere – spiega ancora Pantaleo -. Quando si vive un’esperienza così potente da piccoli, molte cose le rimuovi e ritrovarle è stato emozionante, come una grande seduta di analisi».

Le interviste, che hanno coinvolto, tra i tanti, Luigi Lastorina, Ciro Esposito, Mario Bianco, Carmela Pecoraro e tutti gli altri bambini del gruppo originale (eccezion fatta solo per due) sono alternate a materiale d’archivio registrato sul set, tra cui anche preziose dichiarazioni di Lina Wertmüller e Villaggio. Due presenze forti, che tutti ricordano come estremamente professionali, ma allo stesso tempo protettive.

«Io speriamo che me la cavo è stata l’esperienza più formativa di tutta la mia carriera – ha detto Pantaleo. – Da Lina e Paolo abbiamo appreso rigore e professionalità. Con Lina ho avuto l’onore di poter lavorare altre volte, abbiamo continuato a vederci, passavo spesso a trovarla nella sua casa a Piazza del Popolo a Roma. Chiacchieravamo molto e quando ho scoperto che sarei diventato papà di Margherita, la mia prima figlia, ho sentito l’esigenza di di dirglielo subito. Anche di Villaggio ho tanti ricordi, ci aspettavamo di incontrare Fantozzi sul set, invece abbiamo trovato un grande professionista. Sono cresciuto con una nostra foto appesa sopra il letto: c’era Paolo, con un cappottone, sotto il quale spuntavano due gambine: erano le mie. Mi aveva avvolto per proteggermi dal freddo»