IL FATTO
Londra, anni ’50. Trappola per topi è uno dei grandi successi del West End, un produttore decide di farne una versione cinematografica e ingaggia il regista americano Leo Kopernic per dirigerla. Kopernick viene però trovato morto sul palco del teatro. Il caso viene assegnato all’ispettore Stoppard e all’agente Constable Stalker e, come in ogni giallo che si rispetti, sono tutti sospettati.
L’OPINIONE
The Mousetrap festeggia quest’anno i suoi settant’anni ininterroti in cartellone al St Martin’s Theatre, un successo ineguagliabile che certifica soprattutto la bontà di un genere, quello noto come Whodunnit, ovvero “chi lo ha fatto” che alimenta la naturale umana curiosità e il desiderio di far funzionare le capacità deduttive. Su un impianto che più classico non si può, Tom George, al suo esordio alla regia, e lo sceneggiatore Mark Chappell costruiscono un intrigo meta-cine-teatrale con molti livelli di lettura della contemporaneità. Man mano che l’indagine va avanti si trasforma in una satira sul mondo dello spettacolo e sulla società odierna, in cui la regola “show must go on” regna incontrastata, ma si riflette anche sulla facilità con cui vengono rovinate carriere sulla base di illazioni che difficilmente vengono poi smentite e sull’ipocrisia generale di un ambiente in cui il prodotto vale molto più delle persone. La messa in scena è teatrale, com’è giusto che sia, e George si affida alla scrittura e al ricco cast, a partire da Sam Rockwell, ispettore dal bicchiere facile e un passato tormentato, e una sempre più brava Saoirse Ronan, zelante agente di Scotland Yard dall’inequivocabile cognome: Stalker. La matassa si dipana con la più classica riunione dei sospettati, ma come la storia stessa ci impone, non bisogna svelare l’assassino. Un avvertimento a tutti gli spoileratori seriali dei social.
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