Deve evidentemente divertirsi dietro la macchina da presa il produttore e sceneggiature Mike Wiluan, che dopo l’esordio di Buffalo Boys (premio del pubblico al Fantasia Film Festival 2018) e il Losmen Melat, presentato al Sitges Film Festival, offre al Tokyo Film Festival 2024 l’anteprima del suo nuovo Orang Ikan, strano monster-samurai-fantasy movie che strizza abbondantemente l’occhio a certi cult di ‘Serie B’ e che ci porta su un’isola deserta per uno strano triangolo potenzialmente ricco di implicazioni.
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IL FATTO
Nel 1942 infuria la Seconda Guerra Mondiale, il mondo è diviso. Una “nave infernale” giapponese trasporta dei prigionieri di guerra, con loro anche Saito, considerato un traditore dai suoi e rimandato in Giappone per essere condannato a morte. Incatenato a Bronson, un soldato britannico, quando il battello viene silurato dai sommergibili alleati, Saito e il suo ‘compagno’ vengono gettati in mare riuscendo a salvarsi raggiungendo un’isola deserta. Ma non sono soli. Qui si ritrovano braccati da una creatura mostruosa, l’Orang Ikan, che non si fermerà davanti a nulla finché non li avrà uccisi entrambi. I due dovranno quindi mettere da parte l’odio che provano l’uno per l’altro per sopravvivere all’isola e alla creatura, prima che sia lei a uccidere loro.
L’OPINIONE
Come ogni horror che si rispetti, la premessa di questo Orang Ikan affonda nella realtà, quella delle ‘Navi infernali’ giapponesi, una delle più terrificanti in quanto tali e che permette alla storia di presentarsi anche come war drama, per quanto fantastico. Fortunatamente (“fantastico”), aggiungeremmo, visto che è sicuramente la creatura dell’Isola nera – tanto per parafrasare un classico esplicitamente citato – a dare un senso a un film tanto divertente quanto poco originale e intrigante.
La dinamica del ‘mio nemico’ è evidente sin dall’inizio, e l’evoluzione della stessa – con l’inserimento dell’Orang Ikan (sorta di sirena del folklore indonesiano) – piuttosto prevedibile, nonostante non siano del tutto da disdegnare alcuni momenti dello strano triangolo cui danno vita Dean Fujioka, Callum Woodhouse e Alan Maxson.
A tratti sono la musica e un uso meno prevedibile degli effetti sonori, più che le espressioni degli interpreti, a rianimare l’azione, in attesa che la creatura diventi protagonista, e regali piccole e grandi sorprese, sia nell’aspetto – molto practical, poco CGI – sia nella postura, financo nel modo di camminare. Una caratterizzazione che fa da contraltare alla voluta sottolineatura della cattiveria degli uomini. Una costante, che pure dopo aver portato lo spettatore a empatizzare col diverso (non senza esagerare, per scelte e didascalismo) offre un tentativo di rovesciamento dei ruoli in cerca di quel pizzico gradito di imprevedibilità e di sfuggire dalla compassione.
Di base, domina una essenzialità necessaria a un fantasy-monster movie, sci-fi anni ’50, ibridata con una sensibilità e modelli più moderni, che convergono in questa coproduzione tra Singapore, Indonesia, Regno Unito e Giappone che improvvisamente lascia spazio a un omaggio alle origini del combattivo samurai, vero virtuoso della spada (anche se a un certo punto è impossibile non pensare a Indiana Jones) e a momenti di – voluta? – ironia (soprattutto quando il riferimento è all’Aldo Baglio di Tre uomini e una gamba). Peccato che manchi un vero e proprio effetto sorpresa, tanto più nella conclusione, fin troppo canonica.
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Come non correre a recuperare l’originale, inimitabile e meraviglioso Il mostro della laguna nera del 1954, dopo aver osservato la parabola di questo suo nipotino? Se poi, preferite concentrarvi sull’aspetto della convivenza forzata e dell’alleanza tra nemici, potrebbe essere l’occasione per ricordare Il mio nemico (Enemy Mine) del 1985, con cui il Wolfgang Petersen de La storia infinita si dedicava a tutt’altro fantasy e, nello specifico, al libero adattamento del romanzo breve di Barry Longyear “Mio caro nemico” (“Enemy Mine”, 1979).