Dopo le accese polemiche scaturite intorno al titolo della serie, che sarebbe dovuta andare in onda dal 25 ottobre, Qui non è Hollywood è finalmente disponibile su Disney+ dal 30 novembre. Diretta da Pippo Mezzapesa (Il bene mio, 2018; Ti mangio il cuore, 2022), la serie ripercorre il delitto di Sarah Scazzi avvenuto il 26 agosto del 2010 ad Avetrana. La storia, basata sul libro “Sarah. La ragazza di Avetrana” di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni e sulle tre sentenze che hanno condannato Sabrina Misseri e Cosima Serrano all’ergastolo, vede protagonisti in una straordinaria metamorfosi Vanessa Scalera nei panni della zia della vittima, Giulia Perulli in quelli della cugina e Paolo De Vita come zio Michele.
IL FATTO
Nell’estate del 2010, Sarah, quindicenne di Avetrana, paese del Salento, ha come unico punto di riferimento sua cugina Sabrina, di 7 anni più grande di lei. Sabrina lavora come estetista in un piccolo studio ricavato nella casa dei suoi genitori, Cosima e Michele, e trascorre il tempo libero al mare e al pub con i suoi amici di Avetrana a cui si aggrega volentieri anche Sarah, desiderosa di stare in compagnia e di ricevere affetto e attenzioni da parte della cugina e dei suoi amici. Sarah non è felice di vivere con sua madre Concetta e trascorre quasi tutto il suo tempo a casa della zia Cosima, che la accoglie come una figlia, nonostante il clima in famiglia sia teso e a volte persino violento, per via dei dissapori tra moglie e marito, e la cugina non sia del tutto felice di averla sempre tra i piedi. Quando però Ivano, il ragazzo verso cui Sabrina nutre una forte attrazione, comincia a mostrare una certa simpatia verso Sarah, il rapporto tra le due cugine diventa ancora più difficile e astioso. Sarah entra in una specie di incubo da cui non uscirà mai più, mentre Sabrina, Cosima e Michele cominceranno a vivere in un vero e proprio inferno fatto di sospetti, paure, liti, indagini, confessioni e un’invadenza sempre più sfrenata da parte dei media.
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L’OPINIONE
Divisa in quattro episodi, ciascuno dedicato ai protagonisti della storia, Sarah, Sabrina, Michele, Cosima, Qui non è Hollywood parte dal desiderio di raccontare il caso del delitto di Sarah Scazzi innanzitutto con rispetto verso le persone reali protagoniste del fatto di cronaca.
Basandosi sugli atti processuali e seguendo la ricostruzione offerta dal libro di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni (anche consulenti della serie stessa), Pippo Mezzapesa con i cosceneggiatori Antonella W. Gaeta e Davide Serino hanno cercato di ricostruire quanto accadde nella terribile estate del 2010 senza soffermarsi su una descrizione voyeuristica della vicenda e mettendo in evidenza il modo in cui tutti personaggi indiscriminatamente divennero vittime e al tempo stesso carnefici sotto i riflettori di un’attenzione mediatica spropositata e morbosa.
Mezzapesa, per la prima volta alle prese con il formato seriale, si dimostra abile nella gestione di un racconto ad episodi, soprattutto grazie all’intuizione di una narrazione che sposta continuamente il punto di vista da un protagonista all’altro. Ogni episodio è così confezionato con una propria cifra distintiva; luci, colori, stile narrativo e di regia si adeguano all’atmosfera ricercata per comunicare di volta in volta prospettive e sentimenti diversi della storia. Il risultato complessivo consente di non fossilizzare il giudizio su un unico personaggio e sul suo agire. L’attenzione è tenuta desta su tutti e ogni situazione è restituita momento per momento.
L’obiettivo di Mezzapesa e del team artistico e produttivo che lo ha sostenuto, con Groenlandia di Matteo Rovere e Disney alla base, non era quello di riaprire un caso già chiuso da tre gradi di giudizio, né sconcertare con qualsiasi genere di rivelazione o nuova prospettiva di valutazione. Qui non è Hollywood si concentra piuttosto sui personaggi e la loro umanità, ponendosi domande sull’origine stessa del male e le conseguenze che anche le più piccole azioni possono scatenare.
In Qui non è Hollywood, più che il caso di cronaca in sé, sono i personaggi e le atmosfere a fare la storia con le emozioni che veicolano e i pensieri che diventano quasi papabili attraverso sguardi molto ben restituiti dagli interpreti, in particolare i protagonisti. A dispetto di quanto accaduto anche nella realtà così come è stata riportata dai media, nella serie non ci sono figure stereotipate o etichettabili nemmeno tra i personaggi secondari per cui ogni comportamento, anche quello meno condivisibile, trova un proprio plausibile contesto.
Vanessa Scalera, quasi irriconoscibile nelle sue reali fattezze sotto un trucco prostetico a cui si è sottoposta per 7 ore per ogni giorno di lavorazione, rappresenta tutta l’oscura, rigida e fredda fermezza di una donna piegata ma non spezzata da una vita durissima di sacrifici e rinunce che tenacemente difende quanto ha conquistato. Giulia Perulli, che per la sua Sabrina ha dovuto prendere 20 chilogrammi di peso in più, crea una giovane donna attraversata da desideri, speranze, conflitti interiori e menzogne a cui lei stessa non riesce a credere, un attimo prima istintiva, decisa e fiera e l’attimo dopo distrutta, sconfitta e priva di speranza. Infine, il Michele di Paolo De Vita è un uomo travolto da eventi a cui egli stesso non può e non sa dare un senso, schiacciato dalla pressione della famiglia prima e degli inquirenti poi, desideroso solo di dare pace ad una coscienza interiore confusa.
Qui non è Hollywood riesce così a dipingere un panorama ben più complesso rispetto a quello che l’opinione pubblica vorrebbe vedere e non offre risposte confezionate a domande fondamentalmente errate su un omicidio che, per quanto possa essere sviscerato, resta tuttavia un mistero inspiegabile rispetto al male che lo ha prodotto.
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Dove nessuno guarda – Il caso Elisa Claps, docuserie Sky diretta da Pablo Trincia e Riccardo Spagnoli.