«Una delle cose che amo di più di Raya è la complessità di questo personaggio: tecnicamente sarebbe una principessa, ma è anche una guerriera che, per tutta la vita, si è preparata a diventare la custode della gemma del drago. Il suo dualismo è affascinante e ci ha permesso di sviluppare il film su più livelli psicologici», dice Don Hall, regista di Raya e l’ultimo Drago (il cartoonist aveva già diretto il lungometraggio Disney premio Oscar Big Hero 6).
Raya, la cui uscita in sala è prevista da marzo (là dove le sale sono aperte), sarà disponibile in Italia già dal 5 marzo su Disney+, ma solo con Accesso VIP a pagamento. Il cartoon ci porta nell’immaginaria Kumandra, dove nell’antichità umani e draghi vivevano insieme in armonia. Quando un’oscura e malvagia forza ha minacciato l’intero mondo i draghi si sono sacrificati pur di salvare l’umanità, che però da quel momento si è divisa in cinque differenti
regni, funestati da folli lotte fratricide. 500 anni dopo quella stessa forza malvagia è tornata a minacciare il mondo e la giovane Raya (nella versione originale ha la voce di Kelly Marie Tran, era Rose Tico della terza trilogia di Star Wars), guerriera solitaria accompagnata dal suo bizzarro animale da compagnia e mezzo di locomozione Tuk Tuk (voce Alan Tudyk, era il robot K-2SO di Rogue One) si sobbarca l’onere di trovare Sisu (voce Awkwafina, la rapper che ha interpretato Peik Lin Goh in Crazy & Rich), leggendario drago acquatico, l’ultimo sopravvissuto della sua specie. Solo nell’aiuto del drago è infatti riposta l’ultima speranza per tentare di riunire i popoli di Kumandra, prima che l’intero mondo soccomba alle forze del male.
Don Hall ha incontrato via zoom la stampa italiana insieme al suo partner alla regia Carlos López Estrada (già autore dell’apprezzato Blindspotting), la produttrice Osnat Shurer (candidata all’Oscar per Oceania) e gli sceneggiatori Qui Nguyen e Adele Lim (Crazy & Rich).
«Tutto il film è attraversato dal tema della perdita della fiducia e dalla necessità di tornare a provarla verso il prossimo», continua Hall, «Raya ha provato sulla propria pelle il dolore del tradimento e non vuole più aprirsi agli altri, ma durante il film capirà che non è questa la via per salvare il suo mondo».
«Il film, in cui abbiamo esplorato la bellezza delle culture del sud-est asiatico, mostra come la delusione per il tradimento e la rabbia che ne consegue siano un vicolo cieco», rincara la dose la produttrice Osnat Shurer, «perché bisogna avere il coraggio di mettersi di nuovo alla prova con le persone intorno a noi. Anche se così si diventa vulnerabili abbiamo la possibilità di crescere, migliorarci e, soprattutto, creare un mondo migliore in cui
vivere».
«La rabbia è un cancro», ribadisce Qui Nguyen, «che distrugge innanzitutto noi stessi prima dei nostri nemici, veri o presunti. È fondamentale per tutta l’umanità capire l’importanza di tendere la mano a chi è diverso da noi, per provare insieme a cambiare la realtà». Decisamente, nell’America che ha subito il trauma del criminale assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio, il messaggio di questo film, la cui lavorazione è durata più di quattro anni, giunge oggi al pubblico con un tempismo eccezionale e dovrebbe risuonare potente alle orecchie di tutti gli “odiatori professionisti” che infestano il pianeta.
Senza dimenticare il bell’omaggio verso la cultura asiatica, sottolineato da registi, produttrice e sceneggiatori, vanno sottolineati i momenti di puro divertimento offerti persino dalla mistica figura del drago Sisu, è un drago femmina e questo rende l’intero cartoon un inno al girl power, con Raya e Sisu contrapposti alla villain Namaari (Gemma
Chan, era Madam Ya Zhou in Animali fantastici e dove trovarli). Per creare Sisu, infatti, Don Hall ha spiegato che «era necessaria una certa raffinatezza per ottenere il giusto equilibro. Ci siamo ispirati alla mitologia dei Naga del sud-est asiatico, che sono un tipo molto specifico di draghi, venerati quasi come delle divinità. Volevamo che Sisu avesse quella saggezza dei secoli, ma anche una certa dose d’ingenuità e un piccolo barlume di insicurezza. Volevamo che il personaggio fosse buffo e divertente, per ottenere qualcosa di unico che il pubblico non avesse mai visto prima».