Real, il mondo digitale nel doc di Adele Tulli: «Siamo dentro a un grande esperimento»

Un'antologia di immagini incredibili eppure verissime

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REAL di Adele Tulli

Travelling Without Moving cantavano i Jamiroquai, una canzone che torna in mente a partecipare al viaggo di Adele Tulli (Normal), regista del fanta-doc sull’essere umani nell’era digitale intitolato Real. Presentato con successo all’ultimo Festival di Locarno e distribuito al cinema da Luce Cinecittà, il film mette insieme immagini ed esperienze insieme comuni ed eccezionali nel raccontare il mondo di oggi attraverso diversi modi di rappresentare la realtà che ci circonda, sia quella virtuale, di ‘second life’ digitali, sia quella delle infrastrutture tecnologiche che la permettono. Il risultato è una sorta di “mappa documentata e senza preconcetti, che ci mostra con sguardo inedito e curioso un territorio ineffabile, alieno e insieme familiare“, come lo presenta la produzione.

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Un’esplorazione “algoritmica” sull’essere umani nell’era digitale, tra le derive perturbanti del vivere digitalizzato e iperconnesso e le relazioni virtuali, la cybersessualità e la vita da cavie in smart city del futuro. Dipendenze e patologie, alienazione e isolamento, depressione e controllo, pregiudizi e scoperte, nella speranza di identificare spazi di libertà, che la regista ha voluto affrontare – come dice lei – perl’urgenza di immergermi nelle metamorfosi emotive, sociali e cognitive innescate dal nostro rapporto con le tecnologie digitali“. Ed è lei a parlarci di questa “antologia” di video presi sul web, composta da materiale d’archivio della rete a simulando il feed frenetico e a tratti estraniante delle comuni piattaforme di social media.

 

REAL di Adele Tulli

Il film è racchiuso dalle immagini di una meditazione condivisa, come ha scelto apertura e chiusura?
C’è il tema della ritualità della cura, del bisogno di cercare degli spazi di confort e di escape, di fuga dalla realtà quotidiana, che è una caratteristica forte della rete,  e tutta la new age o le tendenze spirituali di vario tipo che proliferano online, oltre alle sub culture tipo Vaporwave o i sussurratori che si vedono alla fine, tese al trovare spazi di riposo, di terapia, parte di una ricerca di benessere, di calma dall’ansia, che ha caratterizzato le vite di molti di noi durante la pandemia. Quell’immagine della socialità fatta a quadratini era proprio un’immagine che avevo in testa dai giorni della pandemia e mi piaceva iniziarci il film, per dare questa sensazione di essere soli, da un lato, ma anche iperconnessi. E ho deciso di chiudere il film con quella stessa scena perché dava al film la sensazione di una specie di viaggio, con lui che finisce dicendo ‘adesso riaprite gli occhi’, come se tutto fosse stata una meditazione, un trip.

Sono evidenti gli aspetti più deteriori di questa fuga, di questo isolamento, e colpisce vedere tanti ragazzi parlare di depressione, come si fa a non vederci solo questo?
Secondo me tutti sentiamo il peso della digitalità, ma la tecnologia è un strumento che può avere moltissimi aspetti positivi, di connessione, socializzazione, incontro che ci sono nel film, come nella storia delle ragazze in VR, che lì trovano uno spazio sicuro di espressione libera dove incontrarsi, sentirsi capiti, inclusi e ascoltati, cosa che semmai ci dice qualcosa della tossicità di alcune dinamiche del mondo fisico, dove questi spazi sono di meno. Poi è innegabile che ci siano la patologia, l’ansia, l’isolamento e la solitudine, la depressione, la sorveglianza e il controllo, che magari risuoneranno in maniera diversa con i diversi spettatori. Ma il film non abbraccia né una posizione tecnofobica, né tecno entusiasta, ma cerca di ragionare su alcune complessità, è un tentativo un po’ caleidoscopico di affrontare varie di queste tematiche e mostrare come la rete possa essere sia patologia sia terapia.

REAL di Adele Tulli

In questo caleidoscopio di immagini, come ha scelto immagini e location? Si è lasciata guidare da quello che trovava o ha cercato degli elementi specifici?
Parto sempre, più o meno, da una grande ricerca sul tema, da letture, incontri con persone che si occupano di questi, una parte di sviluppo è stata proprio dedicata a questo fino ad avere una sorta di mappa di idee in cui c’erano tutta una serie di sottotemi dai quali ho messo a fuoco gli aspetti che volevo affrontare, quello della sorveglianza e della profilazione, da un lato, e del lavoro nel digitale, compresi rider e la sexworker, che hanno permesso di sviluppare una riflessione specifica e dai quali siamo partiti per cercare scene e storie che potessero illuminare alcuni degli aspetti messi a fuoco, compreso quello dell’altra linea narrativa, sulle infrastrutture materiali della rete. Per ogni scena c’è poi stato un percorso produttivo diverso, ognuna è stata un viaggio. Per la parte sulle figure in VR, per esempio, c’è voluto molto tempo per capire le piattaforme, trovare le storie giuste, conoscere le persone all’interno, incontrarle…

Nello specifico, nella Smart City a Busan vivono veramente?
Sì, sì, hanno costruito questo grande quartiere, una specie di cittadina periferica, e hanno offerto la possibilità di abitarci per cinque anni gratuitamente alle persone in cambio della condivisone totale di tutti i dati che vengono prodotti. Era la metafora molto forte di quello che sta alla base del “capitalismo della sorveglianza”, che però viviamo anche noi ogni giorno. La frase “se è gratis il prodotto sei tu” riassume quello che vivono loro, ma anche noi, perché l’interazione quotidiana con i nostri telefoni implica una profilazione totale dei nostri interessi, dei nostri movimenti, delle nostre transazioni, praticamente di qualunque cosa facciamo. Anche noi siamo dentro un grande sperimento, un po’ come loro.

Per citare il film: Viviamo nella migliore epoca di sempre?
Difficile rispondere perché abbiamo fatto esperienza solo di questa, però direi che ovviamente in questo momento la sensazione è molto vicina a quella di una dimensione apocalittica. Questo documentario – definiamolo documentario, visto che si chiama anche “cinema del reale” – dovrebbe raccontare la realtà, ma ho avuto sempre la sensazione che ricordasse più un film di fantascienza perché da un certo punto di vista viviamo in un presente un po’ distopico. Non lo so, ma spero che sapremo trovare delle vie d’uscita a quelle che sembrano essere delle condizioni problematiche e complesse del presente, e mi riferisco alle guerre, alle destre violente che vincono ovunque e a Trump. Credo molto nella circolarità delle cose, a un certo punto girerà.

Il trailer di Real

 

Real, trama

La nostra concezione comune di “realtà” era fatta di oggetti tangibili, di relazioni corporee, di esperienze ed eventi che si svolgevano in spazi fisici, concreti. Recentemente, tuttavia, un implacabile processo di accelerazione digitale ha trasformato profondamente il nostro pianeta, le nostre società e noi stessi: i dispositivi digitali non sono più solamente strumenti che usiamo tutti i giorni, di continuo. I nostri smartphone e computer sono divenuti le porte di accesso a una nuova realtà, un universo aumentato in esponenziale crescita, di cui facciamo esperienza quasi sempre senza contatto fisico. Un mondo digitale che è oggi quello dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, cercandovi felicità, soddisfazione, rapporti, conoscenza, esperienze. Allora, cosa è oggi ‘reale’?