Still, Michael J. Fox si racconta su Apple TV+

La star di Ritorno al futuro ripercorre la sua storia nel docu-film disponibile dall'11 maggio si Apple Tv+

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«Ragazzi, aspettate, mi fate venire i brividi»: così lo scorso novembre Michael J. Fox aveva aperto il discorso di ringraziamento per la consegna dell’Oscar onorario a Los Angeles, tra l’emozione e quella carica di (auto)ironia che ne ha fatto un «maestro della commedia», come lo definì per l’occasione Woody Harrelson. Ironia (anche) sui tremori causati dal morbo di Parkinson, che gli è stato diagnosticato a 29 anni, spingendolo nell’ultimo periodo a dedicare le proprie energie alla ricerca su questa sindrome neurodegenerativa, dando vita a una fondazione e riuscendo a raccogliere un miliardo e mezzo di dollari.

Non a caso, l’Academy gli ha conferito il Jean Hersholt Humanitarian Award, rivolto ai lavoratori dell’industria cinematografica che abbiano conseguito particolari meriti umanitari. Un altro traguardo del lungo percorso che ha fatto entrare l’ex Marty McFly di Ritorno al futuro nei cuori degli spettatori, e che il diretto interessato racconta ora nel doc Still: La storia di Michael J. Fox (Still: A Michael J. Fox Movie), in arrivo su Apple TV+ dall’11 maggio, diretto (e prodotto con Annetta Marion, Jonathan King e Will Cohen) da Davis Guggenheim, il cui Una scomoda verità, sulla questione drammaticamente urgente dei cambiamenti climatici, vinse l’Oscar nel 2007. Ma Still è prima di tutto un film del suo protagonista e narratore che, come riusciva a fare la mitica DeLorean del Doc Christopher Lloyd nella trilogia cult (1985-1990) firmata da Robert Zemeckis, ci riporta indietro nel tempo. Alla scoperta della vita di Michael Andrew Fox, nato a Edmonton, Alberta, il 9 luglio 1961, cresciuto in una base dell’esercito canadese per poi diventare una star della Hollywood anni ’80, con la citata saga sci-fi e la sitcom Casa Keaton, dove interpreta Alex, aggiudicandosi tre Emmy e un Golden Globe.

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Poi, un giorno, come ricorda lui stesso nel film, «mi svegliai e notai il mio mignolo… che si muoveva da solo». Sono i primi sintomi del Parkinson, nel 1991, ma l’attore evita di rendere pubbliche le sue condizioni sino al 1998, condividendo nel frattempo la verità solo con gli affetti familiari, in primis la moglie Tracy Pollan (conosciuta sul set di Casa Keaton), al suo fianco anche nella rievocazione di Still. Nel frattempo continua a lavorare, ottenendo un altro ruolo molto amato, quello di Michael Flaherty nella serie Spin City, che gli varrà nel 2000 il quarto Emmy (il quinto nel 2009 per la drammatica Rescue Me). Tutta quella fase era già stata ripercorsa da Fox nella sua autobiografia, Lucky Man. Un uomo fortunato (2002, edita in Italia da TEA): «Nessuno vorrebbe mai che gli capitasse una cosa del genere. Tuttavia», afferma nel libro, «questa crisi inaspettata mi ha costretto a una scelta di vita decisiva: vivere sotto assedio oppure imbarcarmi in un viaggio. Di qualunque cosa si sia trattato – coraggio, accettazione, saggezza -, ciò che alla fine mi ha consentito di imboccare la seconda strada (dopo aver trascorso alcuni anni disastrosi lungo la prima) è stato senz’altro un dono, e se non fosse stato per questa catastrofe neurofisiologica, questo dono non lo avrei mai aperto, né mi sarei così profondamente arricchito».

Negli ultimi vent’anni, pur diradando le partecipazioni cine-televisive, Fox non ha mancato di ritagliarsi nuovi e incisivi ruoli come quelli in Boston Legal, The Good Wife e nel recente spin-off di quest’ultima, The Good Fight. Una carriera che il documentario Apple rievoca tra materiali d’archivio, testimonianze reali e scene di finzione, alternando avventura e sentimento, dramma e commedia, proprio come ha fatto il divo nel corso di tutta la sua esperienza.