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Storia di una notte, Paolo Costella esplora il lutto con Anna Foglietta e Giuseppe Battiston

In anteprima alla Festa del Cinema di Roma il nuovo film di Paolo Costella, una riflessione sul lutto e sulla necessità di rialzarsi

Il confronto, doloroso, irrazionale, con il lutto, il vuoto che porta, ma anche l’occasione di un percorso di crescita lento, che scava a fondo nelle pieghe della sofferenza viene esplorato in Storia di una notte di Paolo Costella con Anna Foglietta e Giuseppe Battiston, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.

La vita scorre lenta, ordinata, per Elisabetta (Foglietta), Piero (Battiston), e i loro tre figli, quando una tragedia lo colpisce cambiando irrimediabilmente le loro vite: il figlio maggiore muore producendo una crepa profonda all’interno della famiglia, che si sgretola, si allontana, scricchiola sotto il peso della sofferenza.

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Inizialmente che ci sia solo da aspettare le sorti di intervento da cui non si sa se il figlio ne uscirà vivo o meno  – ha spiegato il regista – io stesso pensavo, mentre lavoravo alla sceneggiatura, che i genitori non avrebbero potuto far altro che aspettare, ma non poteva ridursi tutto al senso d’attesa. Volevo trasmettere l’idea che non è vero che non puoi fare nulla, c’è sempre qualcosa da fare, anche di piccolo, che crea un movimento e ti fa andare avanti nella vita. Sono tre le notti a cui rimanda il titolo: quella del presente, quella iniziale che ha fatto partire tutto, e quella metaforica, il buio in cui cadono prima di reagire al lutto”. Storia di una notte

Per cercare di ricucire la famiglia, i due figli chiedono ad Elisabetta e Piero di passare insieme il Natale a Cortina, ed è lì che l’evoluzione avviene, carica di silenzi e di attese.

Il tema del tempo è estremamente attuale – ha riflettuto Foglietta – è il tema dei temi, anzi. Viviamo in una contemporaneità fatta di riempimenti, i vuoti ci spaventano moltissimo. Il lutto è un vuoto totale che si scaraventa su una famiglia fortunata (marito e moglie che lavorano, tre figli belli, che non hanno problemi, una base economica salda). Nel loro retaggio borghese questo accadimento è una macchia con cui è difficile fronteggiarsi. Prima la morte faceva parte del corredo esistenziale di ognuno, adesso sembra che tutto sia incentrato sulla cura e la ricerca spasmodica della perfezione. Siamo tutti levigati, perfetti e una piccola crepa ci terrorizza. Il lutto, poi, è la frattura più profonda, più spaventosa e meno contemplata nella società contemporanea”.

Il film, tratto dal romanzo omonimo, si svolge in un arco temporale ristretto, in cui tutto si muove lento, contro la velocità degli avvenimenti, in un confine labile tra il razionale e l’irrazionale, la realtà e il mondo interiore, il dolore e l’evoluzione che si porta dietro.

“Dalle mie parti c’è una forma diversa di vivere il dolore – ha concluso Battiston- e ho la sensazione che si faccia confusione tra il dolore ed il male. Il male non ti segna, mentre il dolore è in grado di cambiarti, anche positivamente, può insegnarti molto. È difficile ragionarci, però, se viviamo in un contesto che identifica il dolore come qualcosa che porta sfiga, che è contagioso e si fa fatica anche ad andare a trovare i malati perché infetti. Aver fatto parte di un film su come il rapporto con il dolore possa costruire la dignità di una famiglia lo ritengo un privilegio”.

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