Sulla carta un crime mafioso, nella realtà una pulp comedy nera e grottesca tra i prodotti italiani più innovativi degli ultimi anni. The Bad Guy torna, dopo due anni di attesa, dal 5 dicembre su Prime Video con una seconda stagione composta da 6 nuovi episodi. Un ritorno, firmato sempre dal duo Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana (Metti la nonna in freezer, Bentornato Presidente), che ci riporta alle rocambolesche vicende di Nino Scotellaro (Luigi Lo Cascio), l’ex pubblico ministero ingiustamente accusato di collusione alla mafia che decide di “passare dall’altra parte” per portare avanti la sua personale vendetta e scovare il boss dei boss, Mariano Suro. Nella nuova stagione la guerra si sposta sul ricercatissimo archivio segreto di Suro (che finalmente vediamo con il volto di Antonio Catania) nel quale sono contenuti anni di intercettazioni tra il boss e i pezzi grossi dello Stato.
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Stasi, Fontana, perché raccontare la mafia in chiave grottesca?
S. Grottesco per noi è diventato sinonimo di neorealista, anche se ciò che rappresentiamo ci sembra molto più soft della realtà. Noi cerchiamo di metterci dentro un po’ di bellezza, una musica azzeccata, una bella inquadratura, mentre tra i mafiosi non c’è niente di tutto questo, c’è solo una miseria irraggiungibile. Forse dovrebbe essere la realtà ad ispirarsi a noi, per abdicare a un po’ di grottesco.
A proposito di bellezza, di inquadrature e musiche, The Bad Guy è una serie che si distingue per la sua cura nei dettagli. Come studiate le scene ogni volta?
S. Quando abbiamo iniziato a fare questo lavoro eravamo soliti arrivare sul set con degli storyboard super dettagliati. Per questa seconda stagione abbiamo avuto ritmi molto più stretti, per cui ci è capitato spesso di realizzare il piano riprese praticamente in macchina, nel tragitto casa-set. Erano idee quasi sempre partorite sul momento ma che, seppur improvvisate, sono sempre state molto chiare.
F. Il vantaggio è che noi due copriamo tutte le fasi della produzione. Giuseppe scrive, io monto e insieme dirigiamo. Curiamo fino all’ultimo secondo dell’ultimo frame. Credo che la coerenza e la qualità visiva di cui parli affondino le radici in questa particolarità, nel fatto che siamo noi stessi ad assemblare il tutto con l’aiuto del direttore della fotografia, del gruppo di sceneggiatori, costumisti e scenografi.
Non credo di esagerare ma The Bad Guy in più occasioni ci ha fatto rivivere la atmosfere di Breaking Bad e Better Call Saul.
Non esiterebbe The Bad Guy senza Breaking Bad e Better Call Saul. L’idea viene da quel mondo là, che alla fine è un mondo molto italiano. Saul Goodman ci ricorda certi avvocati ai quali siamo abituati. Figure alla Un giorno in pretura, per capirci. È singolare che un racconto così italiota come The Bad Guy provenga da una serie americana. Che è molto italiana.
Restando sulle serie internazionali, quali avete più apprezzato di recente?
S. Abbiamo amato Ripley, Dahmer, Monsters, Scissione. A proposito, il distributore internazionale della seconda stagione di The Bad Guy è FIFTH SEASON, che è lo stesso di Scissione. Il fatto che il distributore di una serie così clamorosa abbia trovato il nostro prodotto interessante ci rende molto orgogliosi.
F. Credo che il denominatore comune di questi titoli sia l’ironia in situazioni dove di ironico non c’è niente. In Ripley c’è una goffaggine, un’incapacità del protagonista nel compiere i crimini molto simile all’inadeguatezza del nostro Balduccio Remora, che poi a sua volta richiama a Walter White e a diversi personaggi dei fratelli Coen. Sono tutti pesci fuor d’acqua.
In effetti gli antieroi piacciono tanto, come dimostra l’affetto per The Bad Guy. Con la prima stagione avete vinto il Ciak d’oro.
L’unico premio che abbiamo vinto…!
C’è sempre la seconda stagione per recuperare…
Infatti l’abbiamo fatta per vincere il secondo Ciak d’oro! [ridono]