Tim Burton premio alla carriera a RomaFF16: dall’omaggio a Mario Bava, alle curiosità sui suoi film più cult

A consegnargli il riconoscimento, tre premi Oscar: gli scenografi Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo e la costumista Gabriella Pescucci

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Roma Cinema Fest 2021, Festa del Cinema, Red Carpet di Tim Burton. Nella Foto : Tim Burton

Regista dallo stile inconfondibile, disegnatore eccentrico, artista poliedrico e visionario. Impossibile non cedere al fascino dell’arte di Tim Burton, premiato quest’oggi alla Festa del Cinema di Roma, secondo premio alla carriera dopo quello consegnato qualche giorno fa a Quentin Tarantino.
Dopo aver sfilato sul red carpet in compagnia del suo amato cagnolino Levi e dei suoi due figli, Burton ha fatto il suo ingresso all’Incontro Ravvicinato in una Sala Sinopoli gremita, accolto dal direttore artistico Antonio Monda e dal professore di cinema alla Columbia University, Richard Peña.

Roma Cinema Fest 2021, Festa del Cinema, Red Carpet di Tim Burton. Nella Foto: Tim Burton e cane Levi

Comincia senza troppi fronzoli Antonio Monda, chiedendo a Tim Burton il suo primo film visto al cinema. “È stato ‘Gli Argonauti’ (Jason and the Argonauts). Un’esperienza indimenticabile, lo vidi a Santa Catalina Island, un’isola piccolissima a largo della California. Ero in una sala straordinaria, sembrava di essere dentro una conchiglia”.

Prima di invitarlo a Roma, il Direttore ha chiesto a Burton di scegliere un regista italiano da omaggiare. Sullo schermo parte un montaggio di La maschera del demonio di Mario Bava con il Batman di Burton. “Perché Bava? Cosa ti piace del suo cinema?” “Negli anni ’80 a Los Angeles andai ad un festival di film horror che durava 48 ore di fila. Di solito a questi eventi finisci per assopirti, invece io mi ricordo chiaramente il film di Bava, La maschera del demonio (Black Sunday). Era un regista come pochi, forse Fellini e Argento gli unici come lui, in grado di catturare il senso onirico, che spesso verteva nell’incubo”. 

Gli anni bui in Disney

Come noto, la carriera di Burton cominciò da giovanissimo alla Disney, quando venne a far parte del gruppo di animatori del lungometraggio animato Red e Toby nemiciamici. Nulla di più lontano dal suo universo narrativo e visivo. “La Disney negli anni 80? Orribile! Furono i miei giorni più bui all’epoca. C’era tanto talento, persone come John Lasseter, ma si facevano film con 10 anni di lavorazione. Non c’erano opportunità. Tra l’altro io ero veramente pessimo nell’animazione. Mi dissero che la volpe che avevo disegnato sembrava essere stata travolta da un’auto!“.

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Da quel momento, proprio in seguito a questa esperienza, Burton decise di dar vita in autonomia alle sue originali creazioni. Dal primo corto, Vincent, realizzato in stop-motion e narrato, nella versione originale, dal suo idolo Vincent Price, la sua creatività non si è più fermata, dando vita a storie e personaggi che lo hanno consacrato come uno dei registi più amati di tutti i tempi.

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Nessun limite dai grandi Studios

Nel corso della sua lunga carriera, Burton ha lavorato praticamente sempre con grandi case, – Warner e Disney in primis – ma ciononostante non si sente di aver mai dovuto fronteggiare dei limiti. “Io ho fatto soltanto film con grandi studios. Una posizione un po’ insolita, ma sono sempre riuscito a fare quello che volevo fare. Non so ancora come ci sia riuscito. Forse non hanno mai capito cosa stessi facendo!”

“Nei film ad alto budget ci sono tantissime persone che lavorano insieme a te. Questo impegno collettivo è fonte di gioia e ispirazione. Il fatto è che se lavori ad un film piccolo, pensi sempre che il budget del film non sia abbastanza, viceversa se lavori in film grandi. È come cercare di controllare le condizioni meteorologiche. Ci sono elementi impalpabili e intangibili. Non mi sono mai sentito limitato dagli Studios.”

Sul processo creativo e realizzativo dei suoi film, Burton spiega: “Dipende dal progetto, a volte parto con dei disegni che sono molto primitivi, ma poi mi affido sempre a grandi artisti.” Collaborazione che cerca anche nel processo di scrittura: “Non mi considero uno scrittore. Parto dalle idee e cerco di stabilire collaborazioni con chi è abile nello scrivere. Io personalmente cerco sempre di trovare qualcosa con cui rapportarmi”.

Importantissimi per Burton, a tal punto da considerarli veri e propri personaggi di un film, sono tutti gli altri “reparti”: musica, scenografia e costumi. Celebri, a tal proposito, le sue frequenti collaborazioni con il compositore Danny Elfman, ma anche con grandi artisti italiani, come gli scenografi premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo e la costumista Gabriella Pescucci. Proprio loro tre, presenti in sala, hanno consegnato manualmente il premio alla carriera a Burton. 

Le clip e i suoi film più amati

Edward Mani di Forbice

Da dove nasce l’idea di Edward?
“Dalla mia infanzia. Ero proprio come lui. Ho sempre amato le favole, perché permettono di esplorare i veri sentimenti aumentandone l’intensità. Sono cresciuto sentendomi come Edward”.

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Mars Attacks

“Mettiamo da parte romanzi e opere letterarie, l’idea di Mars Attacks mi è venuta dalle carte che avvolgevano le gomme da masticare. Lo so, ho avuto un’infanzia contorta.”

Batman

Il tuo secondo Batman venne definito molto dark, un film pericoloso per i bambini.

“Fu fonte di grande confusione, tra chi diceva che fosse molto più dark, chi il contrario. Anche gli studios erano perplessi. McDonalds era scontentissimo, non potevano credere che dalla bocca del Pinguino uscisse roba nera viscida!”

Sweeney Todd 

Il film è tratto dal musical di Stephen Sondheim.

Anche il personaggio di Sweeney Todd è autobiografico. Non fu facile mostrarlo a Stephen, che lo vide solo a termine lavorazione e per fortuna gli piacque. È una combinazione di horror e musical. Gli attori non erano cantanti, ma Stephen fu molto di supporto, non lo ritenne un problema. È stato divertente, anche se c’era sempre la musica era come se stessimo facendo un film muto”.

Big Eyes – Ed Wood

Entrambi i film si basano su due storie vere, quelle della pittrice Margaret Keane e quella del regista Ed Wood, due artisti altamente anticonvenzionali. 

“Nel caso di Margaret Keane, i suoi quadri si trovavano ovunque, appesi nelle case.
Ero affascinato da quei dipinti, li trovavo disturbanti. Mi chiedevo perché piacessero così tanto. Questo ci fa riflettere sul senso dell’arte e dell’artista, ci fa capire quanto veniamo toccati in modo diverso da ciò che vediamo. L’esposizione al MoMa è stata una delle cose più belle che mi siano capitate. Io sono un pessimo archivista, quindi ho dovuto frugare nei cassetti per ritrovarlo tutti. La mostra è stata una delle esposizione di maggio successo. Non mi reputo un’artista, ma fa pensare il fatto che le opere d’arte riescano ad ispirare gli altri.”

“Ed Wood aveva una grandissima passione, pensava che stesse girando un capolavoro  come Guerre Stellari ogni volta. Una convinzione che emerge dai suoi diari e che rientra forse in quel discorso che facevamo prima sul senso dell’arte e degli artisti.”