Un gruppo sgangherato di amici della periferia di Roma – Calamaro, Jason, Freud, Gianmaria e Rebecca – si ritrova coinvolto nell’occultamento del corpo di un uomo ucciso per sbaglio da uno di loro. Hanno tutta la notte a disposizione per escogitare un piano e far sparire le tracce del cadavere, ma la loro incapacità nel gestire la situazione porterà a scelte sempre più scellerate e ad un inevitabile confronto con i dilemmi della vita. È questa la trama di Timor – Finché c’è morte c’è speranza, in sala dal 7 novembre con Blooming Flowers diretto da Valerio Di Lorenzo e interpretata da Rocco Marazzita, Dario Benvenuto, Giorgio Montaldo e Francesca Olia, con la partecipazione di Valentina Vignali e Daphne Scoccia. Una black comedy «libera e anarchica» sulle amicizie e il senso di appartenenza, che riflette sull’essere dei trentenni oggi, moralmente in bilico tra il fare e sbagliare. Ne abbiamo parlato con il regista.
Come nasce l’idea di Timor?
Quando inizio a scrivere di solito parto sempre da una domanda, non ho quasi mai una volontà precisa. Questa è una storia che avevo cominciato a buttar giù circa sette anni fa, quando mi trovavo sulla soglia dei 30 anni e mi sentivo un po’ come Calamaro, il protagonista. Vedevo intorno a me delle amicizie che mi stavano trascinando verso il baratro della staticità, mentre io avevo dentro di me una gran voglia di fare. Mi sentivo ingabbiato e quando ho cominciato a scrivere Timor ho pensato “cosa succederebbe se una cosa del genere capitasse al mio gruppo?” Ho stereotipato i miei amici, la mia insofferenza e ho cominciato a giocare con le ipotesi.
Che poi hanno preso forma in un film.
Sì, grazie all’aiuto di Andrea D’Andrea che mi ha aiutato a trasformare la bozza iniziale – caotica e scritta di getto – in un copione più tecnico, diviso in atti, con climax e plot twist.
L’idea di partenza era comunque quella di fare una black comedy?
In realtà no, non avevo una volontà specifica perché la scrittura era molto libera. Poteva tranquillamente diventare un horror o una commedia. È uscita fuori una black comedy, forse perché la satira dissacrante fa parte del mio gusto cinematografico. Ma se fossi partito con questa idea iniziale, credo che avrei spinto ancora di più sulla scorrettezza.
Hai dei registi/miti a cui ti piace ispirarti?
Sì, ma quelli che mi piacciono di più in realtà non rispecchiano il mio modo di girare. Amo Terence Malick e Alfred Hitchcock, ad esempio, ma se devo fare delle reference mi butto su Guy Ritchie e Danny Boyle. Mi ritrovo spesso a pensare alle loro inquadrature iconiche.
Come mai avete spinto per uscire al cinema? Una scelta coraggiosa oggigiorno.
Sappiamo quanto l’uscita al cinema sia difficile e che possa essere un investimento a perdere, non avendo una incisiva forza di marketing dietro. Il costo della distribuzione è elevato, noi usciamo in poche sale, circa una decina, però a livello di prestigio l’idea di vedere Timor al cinema era un passo importante. Per quanto riguarda lo streaming, stiamo trattando con Prime Video, vedremo più in là. Per ora siamo felicissimi di poterlo vedere sul grande schermo, anche perché non abbiamo girato in condizioni semplicissime.
Come mai?
Ci sono capitati parecchi imprevisti durante le riprese. Lo abbiamo girato in 3 settimane, due delle quali in un teatro di posa a Latina dove più volte è saltata la corrente a causa di un black out. Per un set come il nostro è stato distruttivo!
Il cast come lo hai scelto?
Timor era partito come un film autoprodotto, come il mio primo lungoemetraggio, Quid, per cui parte del casting l’avevo scelta molto prima di cominciare a girare con la produzione. Gianmaria e Rebecca c’erano già da prima, Giorgio Montaldo (Jason) ha fatto dei provini, così come Dario Benvenuto (Freud) che già conoscevo bene.
Nel film fanno dei camei anche Valentina Vignali e Daphne Scoccia, quest’ultima molto apprezzata per la sua interpretazione in Fiore (2016).
Valentina la conoscevo tramite amici in comune. Le ho chiesto se aveva voglia di fare questa piccola parte e si è subito mostrata interessata, è una che lavora sodo. L’ingresso di Daphne è stato un caso, si è avvicinata a noi quando ci visti da un locale del Pigneto mentre giravamo in camera-car. Avevamo il ruolo di Pollice scoperto ed ha subito accettato!
Dopo Timor hai già la testa su un altro film?
Ovviamente. Scrivo per sopravvivere e ho tantissimi progetti, non so quale metterò in piedi per primo, ma ci sono.