Titane e l’elogio della fluidità

Titane, vincitore della Palma d’oro del 74esimo Festival di Cannes, è un body horror che riflette sull’identità personale e di genere, diretto dalla francese Julia Ducournau. È la seconda regista in cima al podio dopo Jane Campion.

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«Grazie per aver scelto un mondo più fluido e inclusivo», ha detto tra le lacrime Julia Ducournau ricevendo dalle mani di Sharon Stone la Palma d’oro del 74esimo Festival di Cannes per il suo controverso Titane. Una vera e propria sorpresa rovinata però dalla clamorosa gaffe di Spike Lee che ha anticipato il vincitore a inizio serata. 

È la seconda regista a conquistare il più ambito riconoscimento nella storia della kermesse dopo Jane Campion con Lezioni di piano, ben 28 anni fa. Per alcuni un capolavoro visionario e necessario, per altri una “boiata pazzesca”, troppo compiaciuto e narrativamente incoerente, il film interpretato da Vincent Lindon e Agathe Rousselle non ha certo lasciato indifferente pubblico e critica con la storia di una donna, Alexia, che salvata dalle conseguenze di un terribile incidente automobilistico grazie a una placca di metallo incastonata nel cranio, resta incinta di una Cadillac con la quale si è accoppiata, non prima però di aver ucciso sulle note di Nessuno mi può giudicare un bel po’ di persone che hanno malauguratamente incrociato il suo cammino. Ma poi questa creatura dal corpo martoriato sceglie un’identità maschile per corrispondere all’identikit di un ragazzo scomparso anni prima, Adrien, e disperatamente cercato dal padre, un pompiere prigioniero del proprio dolore.

Vincent Lindon

Provocatorio ed estremo, allucinato e muscolare, a volte, in verità, anche involontariamente comico, il film (in Italia dal 1 ottobre con I Wonder Pictures) rimanda al body horror di Cronenberg e Tsukamoto, ma anche alla mitologia greca, contaminando carne e metallo, olio e sangue e riflettendo su identità personale e di genere.

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La regista, che nel 2016 aveva già scioccato la platea con il suo coming of age cannibale, Raw – Una cruda verità, ha dichiarato l’importanza di non essere definiti da un genere, che nulla ci dice dell’identità di una persona. «Non mi piace quando si sottolinea che sono una regista donna perché sono prima di tutto una persona che fa film. E li faccio perché sono io e non perché sono una donna. Con il personaggio di Alexia volevo giocare con gli stereotipi e dimostrare che la femminilità è molto più flessibile e indefinita di quello che pensa la gente». E a proposito della scena di sesso con la macchina commenta: «Nasce dalla mia voglia di costruire un film sulla nascita di un nuovo mondo, pensando alla creazione dei Titani dopo l’accoppiamento di Urano e Gaia, il cielo e la terra. Un mondo più forte perché mostruoso. La mostruosità per me è sempre qualcosa di positivo».