Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto compie 50 anni

Curiosità e storia di un titolo epocale della nostra cinematografia

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Altri tempi, altri mondi. 50 anni fa – esattamente il 12 febbraio 1970 – uscì un film davvero “rivoluzionario” per i modi del nostro cinema. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con un linguaggio inusuale (es. l’uso reiterato del flashback) e uno stile grottesco-espressionista-sovraesposto, per la prima volta nel panorama dello spettacolo nazionale osò attaccare a testa bassa un’istituzione sacra (in questo caso la Polizia), fregandosene allegramente di censura e di eventuali denunce, anzi in qualche modo cercando lo scontro. E trovandolo.

Per punti, sintetizziamo qui il senso e le curiosità di un titolo epocale, cardine (e aggiungiamo colpevolmente ora semidimenticato dai più) della nostra cinematografia e della nostra cultura.

LA GENESI DEL FILM. Il film nasce da una triade di personalità. Il regista è Elio Petri, come dice il critico francese Jean Gili “il mal aimé del cinema italiano”; una personalità vulcanica, innovativa e profondamente cinefila, che dopo varie interessanti prove e uno splendido dramma sulla mafia da Sciascia come A ciascuno il suo (1967), inaugurò proprio con Indagine una acida trilogia di radicale e critico cinema civile, seguito da La classe operaia va in Paradiso, 1971 e La proprietà non è più un furto, 1973. Lo sceneggiatore è Ugo Pirro (vero nome Ugo Mattone), con Petri in tutti e 4 i film citati e penna di tanti altri riconosciuti lavori. L’attore è Gian Maria Volontè, di straordinaria potenza mimetica ed energia, protagonista con Petri nei primi tre titoli (avrebbe dovuto esserci anche in La proprietà non è più un furto, ma fu sostituito dopo una furiosa litigata con il regista: si ritroveranno 3 anni dopo per Todo modo nel 1976).

LA TRAMA. Il “Dottore” (non sapremo mai il suo nome), personalità disturbata e schizofrenica, appena promosso capo dell’ufficio politico della questura uccide la sua amante, con cui ha un rapporto morboso e sadico (Florinda Bolkan), nell’appartamento di lei, con una lametta. In realtà fa di tutto per farsi catturare, lascia numerose prove alternandole con strafottenti depistaggi. Ormai in preda a un delirio autopunitivo registrerà addirittura la confessione dell’omicidio (“Alle 16 di domenica 24 agosto, io ho ucciso la signora Augusta Terzi, con fredda ddeterminazione…La vittima si prendeva sistematicamente gioco di me. Ho lasciato indizi…non per fuorviare le indagini, ma per provare la mia in-so-spet-ta-bi-li-tà, la mia insospettabilità!”). Nella notte, mentre attende gli investigatori, sogna e delira, inventandosi una incredibile assoluzione “politica”. Non sapremo mai peraltro se verrà arrestato. Il film si chiude infatti con l’arrivo dei colleghi e con una frase di Kafka: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”.

GLI INTERPRETI. Salvo Randone (già con Petri nel suo debutto da regista in L’assassino, 1961 e che ritroveremo come indimenticabile Militina in La classe operaia va in Paradiso), Gianni Santuccio e Aldo Rendine nel mediocre (e formidabile) dottor Panunzio, sottoposto svillaneggiato costantemente dal Dottore (che gli lancia sfottò nel suo spiccato accento siciliano).

LA COLONNA SONORA. Indimenticabile poi è l’incalzante colonna sonora composta da Ennio Morricone (con Petri da Un tranquillo posto di campagna, 1968, sino all’ultimo Buone notizie, 1979), una musica arricchita negli arrangiamenti da numerosi interventi di strumenti folkloristici siciliani (il mandolino e il marranzano). Uno stile di sottolineatura delle scene che influenzerà in seguito numerosi altri cineasti.

IL MOMENTO STORICO. Uscito nel pieno della movimentata scena politica italiana, febbraio 1970 appunto, poco dopo la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), fu esaltato e osteggiato; da destra (ovviamente) ma anche da sinistra, quella estrema che vedeva con particolare sospetto ogni commercializzazione del discorso politico, visto anche l’enorme successo del film al box office (1 miliardo e 928 milioni solo in Italia). In più fu sottolineato come il film fece da grancassa a una campagna politica di attacchi al commissario milanese Luigi Calabresi, ritenuto responsabile dello strano suicidio dell’anarchico Pinelli, poi assassinato due anni dopo.

I RICONOSCIMENTI. Anche nel mondo l’effetto del film fu esplosivo. Ovunque, applausi e riconoscimenti. I più importanti: Oscar al miglior film straniero e candidatura per la sceneggiatura originale (Pirro e Petri); Cannes: Grand Prix Speciale della Giuria (Petri) e Premio Fipresci; David di Donatello: premio per il miglior film (Daniele Senatore e Marina Cicogna) e per l’attore protagonista (Volontè); Nastri d’argento: al regista, a Volonté, al soggetto (Petri e Pirro).

Infine: da Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto è nato un (breve) filone di cinema di fortissimo impegno civile, di denuncia indignata che molto influì nel clima morale della nazione (titoli come Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica o L’istruttoria è chiusa dimentichi, di Damiani o Bisturi – la mafia bianca di Zampa o In nome del popolo italiano di Dino Risi e poi magari, scivolando nel genere, in tanti ottimi “poliziotteschi” dei ’70). Si può sicuramente dire che raramente un titolo abbia così impressionato e inciso nello spirito di un popolo proprio come questo feroce, anti-sentimentale e formalmente pregevole capolavoro di Elio Petri.