id., Italia, 2016 Regia Gennaro Nunziante Interpreti Checco Zalone, Sonia Bergamasco, Eleonora Giovanardi, Maurizio Micheli, Lino Banfi, Ludovica Modugno, Ninni Bruschetta, Paolo Pierobon Sceneggiatura Luca Medici, Gennaro Nunziante Produzione Pietro Valsecchi Distribuzione Medusa Durata 1h e 26′
In sala dal 1 gennaio 2016
LA STORIA – Fin da piccolo, l’ultratrentenne Checco Zalone coltivava un sogno: “fare il posto fisso!”. E, come spiega a tutta una minacciosa tribù nel cuore dell’Africa nera, questa ambizione seguita con puntiglio lo ha portato là. Ma cosa gli è successo? Colpito da una riforma della pubblica amministrazione del ministro Magno, angariato dalla dottoressa Sironi che vorrebbe incentivarlo alle dimissioni, l’impiegato alla Provincia Zalone ha seguito scrupolosamente i consigli dei genitori e del Senatore Binetto («Sono un rottamato. Chi ho sistemato, ho sistemato») e con resistenza passiva si è adattato a ogni trasferimento pur di non rinunciare “al suo diritto”, dalle località più estreme della penisola sino al Polo Nord (!!), supporto in una missione scientifica italiana. E’ lì che conoscerà Valeria, ricercatrice ecologista e alquanto anticonformista («presente Cameron Diaz? Mettici dentro un po’ di Margherita Hack e una spruzzata di Licià Colò») e la sua vita prenderà una svolta imprevista.
L’OPINIONE – Con una sceneggiatura molto meno scucita rispetto ai suoi pur divertentissimi precedenti (firmata da Luca Medici – indovinate un po’ vero nome di chi? – e dal fido regista Gennaro Nunziante), Checco Zalone raffina, aguzza e stilizza, prende maggior confidenza col mezzo cinematografico e ci regala la miglior commedia italiana della stagione (almeno sino ad ora). E questo – sorprendentemente – senza perdere nulla della sua proterva, ammiccante e paradossale comicità, capace di farsi amica di chi poi castiga sfottendo. Perché c’è anche un lucido intento educativo-morale, nonostante tutta la trivialità caciarona che ogni tanto immette, nel suo stigmatizzare l’italian style, non solo meridionale, nel suo sbertucciare i difetti irrimediabili e indifendibili (anche quando fanno simpatia) di un popolo anarcoide-conservator-familista come dobbiamo ammettere di essere noi italiani.
Vero cinema intellettual/nazional/popolare, quello di Checco Zalone vive di una felicità creativa non si sa quanto duratura, capace di usare persino il greve delle peggio canzonette in funzione “nostalgia canaglia”, aggiungendovi anche “micidiali” sue composizioni, come un La prima repubblica cantata quasi alla Celentano (ricorda nella cadenza lo scult Un albero di 30 piani). Insomma: intanto resiste e rifulge, illuminando anche i suoi occasionali colleghi di avventura (citiamo Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Ninni Bruschetta, più veterani di gran mestiere come Lino Banfi, Ludovica Modugno, Maurizio Micheli).