Una birra al fronte, intervista al regista Peter Farrelly

Dopo il trionfo da Oscar con Green Book, Peter Farrelly racconta un’altra storia vera americana. Protagonista Zac Efron, con Russell Crowe e Bill Murray comprimari di lusso.

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Ci sono storie difficili da credere. Come quella di John “Chickie” Donohue che un giorno del 1968 decise che voleva andare a bere una birra con gli amici. In Vietnam. È successo davvero e la sua avventura l’aveva raccontata un breve documentario prodotto dalla Pabst Blue Ribbon, un birrificio di Milwaukee, il preferito di John, tanto da portare ottanta lattine del loro gustoso luppolo nel Sud-Est Asiatico per brindare con i ragazzi di Upper Manhattan mandati al fronte. Quando Peter Farrelly, il regista del film vincitore dell’Oscar Green Book, si è imbattuto nella storia di Chick, ha capito di avere trovato il suo nuovo lungometraggio, che dopo essere stato presentato al Toronto Film Festival arriva sulla piattaforma streaming Apple Tv+ il 30 settembre. Mattatore assoluto Zac Efron, per cui i tempi di High School Musical sono lontani ricordi. Al suo fianco due monumenti del cinema contemporaneo, Bill Murray e Russell Crowe. Abbiamo parlato con Peter Farrelly per farci raccontare com’è nato Una birra al fronte.

Peter Farrelly, è la seconda volta che racconta l’America degli anni Sessanta. Cosa le interessa di quel periodo?

Non l’ho fatto di proposito, è l’universo che ha portato queste storie nella mia vita. Quella di Chick Donohue è arrivata sotto forma di un documentario trovato on line di cui mi sono innamorato subito. C’era qualcosa in più rispetto a Green Book, quando Chick andò in Vietnam avevo dieci anni, ricordo mio padre guardare il notiziario e le file di cadaveri che uscivano dagli aeroplani. La guerra era in casa, il figlio dei nostri vicini fu ucciso in azione a 18 anni, mi è rimasto impresso. Non avevo un’opinione, come tutto il mio quartiere pensavo che fosse una guerra giusta, che stavamo salvando il mondo come nella Seconda Guerra Mondiale, e lo credeva anche Chick. Solo anni dopo, quando ero alle superiori e le conseguenze del conflitto stavano venendo a galla ho capito, come molti altri, che eravamo dalla parte sbagliata della Storia, seguendo ciecamente il nostro leader. Credo sia stata un’esperienza estremamente istruttiva per paese.

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Ha parlato dell’avere la guerra in casa. Il conflitto in Vietnam fu il primo ad avere una copertura mediatica massiccia, oggi la guerra tra Russia e Ucraina è seguita in maniera ancora più capillare. Crede sia la cosa migliore da fare?

È una domanda interessante, e la mia risposta sarebbe che vorrei non ci fossero più guerre, ma ci sono e se proprio deve diventare uno show, che almeno serva a rendere il pubblico consapevole di quanto stia accadendo. Non mi piace che la guerra sia nel mio salotto, ma sono più preoccupato di quanto viene nascosto che di quanto viene mostrato. Se si impedisse alla stampa di fotografare o riprendere i corpi dei soldati morti, quei ragazzi lo sarebbero comunque. Preferisco che il pubblico se ne renda conto, così che possa avere dubbi sulle ragioni della guerra. Quello che sta succedendo in Ucraina è, oggi come allora, un problema di leadership, e le vittime sono da entrambe le parti. E per leadership intendo Putin.

Tornando al film, Zac Efron è perfetto in questo ruolo. Come è arrivato a sceglierlo?

Mi è sempre piaciuto Zac, lo avevo incontrato alcuni anni fa per un progetto che poi non si è mai fatto, ma mi è rimasta impressa la sua apertura mentale, il desiderio di fare qualcosa di completamente diverso rispetto ai suoi lavori precedenti. Molti attori sul set non stanno neanche a sentirti, si perdono nella loro visione del personaggio. Zac ti guarda dritto negli occhi, ti ascolta, fa domande e non ha problemi a mettersi in discussione. L’ho paragonato a John Travolta ai tempi de La febbre del sabato sera.

Il Vietnam non è più un argomento centrale nel cinema americano. Pensa ci sia il desiderio di dimenticarlo?

Non credo, certamente ci sono stati molti film che raccontavano la guerra e quindi si è arrivati a una saturazione. Una delle cose che mi ha affascinato di questa storia è che la guerra è vista dal punto di vista di un civile che è lì per una ragione e si ritrova a essere spettatore della Storia. Quello che ha imparato Chick mi piacerebbe diventasse una consapevolezza di tutta la nazione.

Ha avuto a disposizione due attori eccezionali, Russell Crowe e Bill Murray. Com’è stato lavorare con loro?

Meraviglioso. Russell è fenomenale, la sua presenza ha aiutato moltissimo Zac. È come giocare a tennis con Djokovic, devi dare il massimo per essere al suo livello e questo è quello che è successo. E lo stesso vale per Bill, sono attori che si concedono tanto ai loro colleghi e amano parlare, con i registi, con gli altri attori, per rendere le cose migliori.