Una squadra, Domenico Procacci fa rivivere l’Italia del tennis degli anni ’70

Adriano Panatta e Paolo Bertolucci da una parte, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli dall’altra, al centro il capitano Nicola Pietrangeli. Un doppio giocato non su un campo da tennis, bensì di fronte alla stampa per presentare le scene tratte dalla docuserie Una squadra, esordio alla regia del produttore Domenico Procacci

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Al Torino Film Festival sono approdati gli storici giocatori che riuscirono a vincere la Coppa Davis in Cile nel 1976 e a conquistare per ben quattro volte consecutive la finale in giro per il mondo. Nello speciale di 74 minuti, mostrato ai giornalisti, Procacci (che ha prodotto la docuserie con la sua Fandango insieme a Luce Cinecittà) ha intrecciato immagini di repertorio alle interviste ai protagonisti, svelando il legame sportivo e di amicizia tra i cinque, ma anche le divisioni, gli screzi, e le questioni politiche. Soprattutto quella che ha riguardato la discussa partecipazione della squadra italiana alla competizione a Santiago del Cile ai tempi del regime di Pinochet, con Giulio Andreotti contrario e Domenico Modugno che scrisse persino una canzone per prenderli in giro.

Quando siamo tornati trionfanti a casa, siamo stati accolti come reietti, persone non gradite”, ha ricordato Panatta, con Procacci che l’ha definito pubblicamente il Vittorio Gassman della serie. E così l’ex tennista, 71 anni, ha dato prova, seduto al fianco dello storico compagno Bertolucci nell’incontro stampa alla Mole Antonelliana, di essere un vero mattatore. “Domenico potrebbe fare anche due docuserie, quella che vedrete e un’altra con i nostri fuori onda, pieni di momenti davvero esilaranti in cui lo minaccio anche di morte”, ha scherzato Panatta, senza risparmiare battute ai compagni e allo stesso Procacci, al quale ha chiesto come la moglie Kasia Smutniak (presente all’incontro) potesse stare con lui.

Poi lo sportivo si è fatto più serio: “Domenico ha reso onore a ciò che abbiamo fatto, raccontando un periodo della nostra vita in maniera disincantata e allegra. Quando giocavamo noi era diverso da quel che si vede nel tennis di oggi in tv. Questa serie mostra la grande amicizia e unione, con tanti aneddoti che mi sono tornati alla memoria e per questo ho rivissuto anche attimi di tenerezza. Abbiamo condiviso un periodo meraviglioso, un percorso irripetibile, fatto anche di sfortuna. L’unica rimpianto è non aver mai giocato una finale in Italia”.

Oltre alle nostre verità ce ne sono almeno altre due o tre. Questa è una storia bellissima e irripetibile e se dopo 45 anni ancora nessuno è riuscito a ripeterla qualcosa significa. Sebbene ci siano state complicazioni sportive e politiche. Quando tornammo in Italia, dopo aver vinto in Cile, sembravamo ladri che avevano rubato le caramelle a un bambino”, ha aggiunto l’83enne Pietrangeli, ricordando di quel periodo le uscite fuori luogo di un console cileno e il cazzotto tirato erroneamente da Panatta a un italiano.

Ma la squadra italiana fu soprattutto accolta calorosamente a Santiago nel 1976, tanto che Bertolucci lasciò la maglietta rossa indossata nella finale insieme a Panatta agli addetti dello spogliatoio, insieme a tutto il resto dell’abbigliamento. “Arrivammo in Brasile e io mi dovetti comprare tutto, anche il costume”, ha ricordato. Oggi per gli ex campioni di quella Coppa Davis non resta più nulla. “Io fatico a chiamarla ancora così. È morta anni fa quando ha cambiato formula”, ha detto Bertolucci. E Barazzutti: “La Coppa Davis è stata comprata da una società che l’ha fatta diventare un campionato di calcio. Il denaro e le tv in cerca di spettacolo hanno condizionato il tennis”.

La serie Una squadra uscirà a maggio 2022 su Sky. Per l’esordiente Procacci, da sempre affascinato dagli anni Settanta, anche come produttore, è stato interessante “raccontare quello che è successo intorno a quegli episodi e a quei personaggi anche dal punto di vista cinematografico. Ognuno di loro incarna un mito. Adriano è Gassman, Bertolucci mi ha ricordato Ugo Tognazzi, in Zugarelli ho visto Nino Manfredi, in Barazzutti, invece, Stefano Satta Flores di C’eravamo tanto amati, Pietrangeli è una via di mezzo tra Adolfo Celi o Aldo Fabrizi”.