Zerocalcare: “Io super consumatore di serie tv, ora dall’altra parte dello schermo” – INTERVISTA

Una chiacchierata col celebre fumettista, dal 17 novembre su Netflix con la serie "Strappare lungo i bordi"

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Zerocalcare alla Mostra del cinema di Venezia, foto di Maurizio D'Avanzo

Il bello di intervistare Michele Rech, alias Zerocalcare, è che, dopo pochi minuti, il fumettista italiano tra i più noti e acclamati in attività (secondo, dopo Gipi, a correre per il premio Strega, con Dimentica il mio nome), ti sembra già un amico con cui parleresti di tutto. L’opposto di un divo da red carpet (al fotografo raccomanda di non fargli assumere pose ridicole, «sennò poi gli amici mi prendono in giro!»), l’artista, al suo debutto (il 17 novembre) su Netflix con la serie Strappare lungo i bordi, è stato nondimeno tra gli ospiti di una Mostra del Cinema di Venezia e di una Festa del Cinema di Roma tornate all-star.

A Venezia, il fumettista ha ricoperto l’incarico di Presidente della Giuria del concorso di corti (tratti da libri) Bookciak, Azione!, evento di pre-apertura delle Giornate degli Autori. E, neanche a dirlo, è stato il meno istituzionale tra i presidenti del Lido. «L’ho presa come una gag», ha raccontato, «nel senso che sono un appassionato di cinema e un lettore, ma non ho strumenti critico-accademici per dare giudizi. Non ho nessuna autorevolezza, di nessun tipo».

Roma Cinema Fest 2021, Photocall “Strappare lungo i bordi”. Nella foto: Michele Rech (Zerocalcare)

Eppure, Zerocalcare è a modo suo (senza la pretesa di esserlo) un intellettuale a tutto tondo, e una chiacchierata con lui spazia dai quartieri di Roma al Medio-Oriente (alla guerra in Siria e Iraq, e alla lotta del popolo curdo nel Rojava, ha dedicato il fumetto-reportage Kobane Calling), passando per il rapporto col cinema e Netflix. Dove la serie animata Strappare lungo bordi (6 episodi) vede protagonisti gli ormai mitici personaggi delle sue vignette (già trasposti nel live action La profezia dell’armadillo) come Zero, Secco, Sarah e l’Armadillo, che avrà la voce di Valerio Mastandrea, mentre gli altri sono doppiati dallo stesso autore.

Alla luce della nuova esperienza professionale, il fumettista adesso guarda le serie «non solo da spettatore ma cercando di capire cosa posso copiare! Uno deve essere bravo anche a copiare, e non è detto ci riesca». E, ancora a questo proposito, confessa che «mi impressiona trovarmi ora “dall’altra parte dello schermo”, perché io sono un super-consumatore di quella roba».

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Strappare lungo i bordi (Zerocalcare, Netflix)
Strappare lungo i bordi (Zerocalcare, Netflix)

Ma i film, per contrasto, Zerocalcare preferisce guardarli al cinema: «La sala mi dà cento milioni di volte di più. Può coesistere con lo streaming nella misura in cui non vado a cercare tutti a casa e a portarli in sala a forza, ognuno può fare come gli pare. Però le due esperienze non sono paragonabili: io a casa mi guardo le serie tv».

Passando all’attualità, impossibile non chiedergli un’opinione sulla situazione in Afghanistan. E anche se «per raccontare una cosa del genere uno dovrebbe andare sul campo e vedere», l’artista qualche idea se l’è fatta: a partire dal fatto che, pur conoscendo meglio il contesto siriano-iracheno, «le cose non sono così sconnesse. Ci sono stati che continuano ad essere scudi per i jihadisti, stati con cui abbiamo scambi commerciali. Forse, più che andare a colpire questo o quello, dovremmo capire dove finiscono i soldi che diamo a questi paesi». In generale, parlando di Medio-Oriente, l’impressione è che «rispetto alle bombe e alle occupazioni invise alla popolazione, per sconfiggere il radicalismo jihadista abbia fatto di più la gente del luogo che ha resistito. Quindi penso che la cosa migliore sia trovare interlocutori sani sul luogo e aiutare loro, affinché sviluppino un modello di società ancorato a quella tradizione ma con uno slancio di democrazia».

Zerocalcare è molto legato alla “sua” Rebibbia, il quartiere periferico e popolare romano che ne ha nutrito anche la poetica: «Il fatto di essere il posto dove c’è il più grande carcere d’Europa ha fatto sì che venisse visto sempre molto male. E siccome in realtà è un quartiere bellissimo e tranquillissimo, ha generato un forte sentimento di appartenenza in chi ci stava dentro. Inoltre, per rispondere allo stigma, ha prodotto anticorpi molto validi in termini di auto-organizzazioni: tutto quello che c’è a Rebibbia l’hanno portato gli spazi occupati che l’hanno fatto vivere, con cineforum, presentazioni di libri. Cose che a Rebibbia non sarebbero esistite se non ci fossero stati i centri sociali». A proposito di periferie e cinema, se dovesse scegliere un “film del cuore”, il fumettista non avrebbe dubbi: L’odio, di Mathieu Kassovitz. Dove la rabbia «verso tutti quelli che stavano fuori dalla loro banlieue» ha una carica di attualità «ancora valida».