“Dunkirk”, la guerra di Christopher Nolan: la recensione

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Usa, Gran Bretagna, Francia 2017 Regia Christopher Nolan Interpreti Tom Hardy, Cillian Murphy, Mark Rylance, Kenneth Branagh, James D’Arcy, Harry Styles, Aneurin Barnard, Jack Lowden, Barry Keoghan, Fionn Whitehead, Charley Palmer Rothwell, Elliott Tittensor, Brian Vernel, Kevin Guthrie Distribuzione Warner Bros Durata 1h e 97′

Al cinema dal 31 agosto 2017

IL FATTO – Fine maggio 1940. Schiacciati sulla spiaggia di Dunkirk (o Dunkerque), migliaia e migliaia di soldati inglesi, francesi e belgi (gli storici stimeranno sulle 400 mila persone in tutto!) attendono affranti un aiuto da Londra. Bersagli disperati dell’esercito tedesco (e dell’aviazione), sarebbero condannati alla resa incondizionata se non peggio, quando, in quella che sarà ricordata come una delle azioni di salvataggio più spettacolari della storia delle guerre (la cosiddetta Operazione Dynamo), ecco arrivare da Oltremanica una flottiglia di pescherecci, imbarcazioni di civili, navicelle da diporto, che insieme alla marina britannica organizzeranno l’incredibile rientro in patria. Il film segue in particolare alcune vicende, quelle di due soldati che ce la mettono tutta per fuggire, l’impresa di un attempato civile con la sua barchetta (“Gli uomini della mia età impongono questa guerra, perchè dovremmo lasciare i figli a combatterla?”), le spericolate peripezie di un aviatore.

L’OPINIONE – “La paura è il destino che ti preme nelle budella” dice un protagonista. E paura e destino sono il fulcro di questo poderoso ed epico spettacolo “larger-than-life”. Pochi film come questo di Christopher Nolan hanno saputo trasmettere il terrore, la disperazione che ti spinge magari ad azioni riprovevoli, l’angoscia delle persone lasciate lì, praticamente inermi, di fronte al nemico (che infatti nel film è sempre chiamato così, mai come “tedesco”, e che peraltro, questo lo dicono gli storici, lì commise anche probabilmente – e fortunatamente – un errore militare dalle conseguenze fatali). E altrettanto pochi (confrontatelo con il pur notevole Dunkerque di Leslie Norman, con John Mills, del 1958) hanno trasmesso contemporaneamente la dignità e l’orgoglio di una intera nazione, il senso di resistenza a oltranza e di sacrificio (come avrebbe detto altrove un nemico peraltro spiritoso: “gli inglesi vincono le battaglie perchè non si accorgono di averle perse e continuano a combattere”). Impossibile non commuoversi quando l’ammiraglio Kenneth Branagh risponde a chi gli chiede cosa vede mentre sta scrutando col binocolo qualcosa all’orizzonte che si avvicina: “casa”; impossibile non partecipare emotivamente alla lotta per la sopravvivenza del soldatino Fionn Whitehead; impossibile non entusiasmarsi seguendo le evoluzioni dell’aviatore Tom Hardy consapevole di aver imboccato una strada senza ritorno; impossibile non simpatizzare con la pacata e saggia determinazione del civile Mark Rylance, uno dei tanti eroi anonimi dell’Operazione Dynamo.

Cinema enorme, realistico e contemporaneamente ardito nella sua costruzione drammaturgica (non procede linearmente ma a volte torna sulla stessa azione per raccontarla da una prospettiva differente, immerso in un caos sensoriale fatto di interni claustrofobici, esterni  plumbei e quasi “alieni” nella loro fastosità, mentre una colonna sonora torbida e colta, firmata Hans Zimmer, evoca Messiaen, Lygeti e altri post dodecafonici). Cinema strutturatissimo che diventa esperienza emotiva totale: infatti è caldamente consigliato goderlo in sala, la più grande e attrezzata possibile (formato, dimensioni dello schermo, impianto sonoro).

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