“ELLE”: A TORINO IL MERAVIGLIOSO FILM SCANDALO DI PAUL VERHOEVEN

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Aver subito uno stupro violento in casa sua non ha apparentemente scioccato la matura Michèle Leblanc. Produttrice di videogames piuttosto efferati, divorziata, madre di un “Peter Pan” che non stima, con una madre rifatta dal botox e con amante sfruttatore al seguito, in realtà la donna sopravvive a una terrificante storia familiare che sconvolse la Francia. Il padre è infatti il mostro Georges Leblanc, pluriassassino e condannato all’ergastolo. Comunque tra amori stonati – compresi quelli per  il cattolicissimo vicino di casa – e la battuta tagliente sempre a fior di labbra, la manager si batterà a suo modo per difendere la sua personalità e trovare le sue vendette.

Paul Verhoeven è un autore che non è mai banale. Ogni suo film ha una sua originalità e una sua ragion d’essere che lo stacca dal branco della produzione corrente. Gira ogni scena come qualcosa che possa impattare nella sensibilità dello spettatore, uno schizzo acido che colpisca e qualche volta scandalizzi. Qui siamo nei meandri del torbido e dell’erotismo che slitta nella crime story e poi nel mèlo, ma il suo mestiere regge benissimo l’infiammabilità della materia che sceglie e tratta (dai suoi successi olandesi, Fiore di carne, Soldato d’Orange, Il quarto uomo, a quelli internazionali di Robocop, Atto di forza, Basic Instinct, Starship Troopers, che qui in Elle viene perversamente e umoristicamente citato quasi di straforo). Anche perchè non rinuncia mai al suo particolare, ficcante senso dello humour (“mio padre ha ucciso 27 persone, 6 cani, alcuni gatti. Per ragioni sconosciute ha risparmiato un criceto” fa dire alla protagonista).

Soprattutto ha qui una regina dello schermo in grado di immergersi in qualsiasi ruolo estremo, dominandolo: ci riferiamo a Isabelle Huppert (vi ricordate i suoi lavori con Chabrol e Haneke?), quasi inquietante nella sua seduttività “Fire and Ice”. La sceneggiatura è firmata da David Birke, tratta da una novella di Philippe Djian (lo ricordiamo anche per Betty Blue), ma lo stile è tutto verhoeveniano. Dopo gli apprezzamenti raccolti a Cannes in concorso, qui a Torino si conferma splendido film, disturbante e ambiguo come devono essere le opere autentiche.

Massimo Lastrucci