End of Justice – Nessuno è innocente, il legal drama che trasforma Denzel Washington

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End of Justice, Usa, 2017 Regia Dan Gilroy Interpreti Denzel Washington, Colin Farrell, Shelley Hennig, Carmen Ejogo, Nazneen Contractor, Tony Plana, Niles Fitch Distribuzione Warner Bros. Durata 2h e 2′

Al cinema dal 31 maggio 2018

LA STORIA – Los Angeles. Roman J. Israel è un avvocato specializzato nella costruzione di cause, un topo d’archivio dalla memoria prodigiosa e la coscienza limpida e puntigliosa, ancorata agli ideali dei suoi anni ’70, dell’attivismo politico e della rivolta. In realtà manifesta anche qualche sintomo di disadattamento con l’ambiente che lo circonda, con la sua capigliatura orgogliosamente afro, il suo vagare corpulento e goffo sempre munito di una cuffia ad ascoltare vecchi brani funky e soul.

Un precario equilibrio che sembra incrinarsi con la morte del suo socio, mentore e più anziano. Contattato da un amico del partner, l’ambizioso ed efficiente avvocato George Pierce, accetta di lavorare nel suo modernissimo studio, mentre nel frattempo entra in contatto con Maya Alston, attivista e organizzatrice di movimenti di protesta. Un giorno, dopo tanti piccoli fatti esasperanti o per lui scioccanti, la sua mente scatta, decide di tradire quello che è sempre stato e provare a essere un uomo cinico, di successo, che persegue denaro e status symbol. Ma non possedendo certe caratteristiche otterrà solo di ficcarsi in una pericolosa ed eticamente deplorevole situazione.

L’OPINIONE – “Preparatevi al compromesso che implica una vita di resistenza” consiglia l’idealista Roman J Israel a dei giovani militanti, prima di polemizzare anche con loro. Ma è proprio lui il primo a non esserne capace, perché come dirà più avanti al suo amore solo sfiorato Maya Alston “la purezza non può sopravvivere in questo mondo”. Come si evince da queste battute, il legal drama di Dan Gilroy (al suo secondo lungometraggio dopo l’avvincente, complesso Lo sciacallo-Nightcrawler) si stacca e di molto dal tran tran corrente del cinema hollywoodiano di quel sottogenere. Il suo grosso guaio è che non lo fa abbastanza, cioè a un certo punto l’esigenza di diventare spettacolare obbliga regista e sceneggiatori in qualche modo a immettere quelle che suonano come fastidiose aggiunte di suspence, intrigo thriller ed emotività melodrammatica. Così che il senso di fasullo alla fine prevale, produce disinteresse e smorza qualsiasi buona intenzione. Soprattutto trasforma la performance di Denzel Washington (evidentemente determinato a proseguire in due carriere parallele, nell’action più popolare e nelle più impegnative opere d’attore drammatico) da eccezionale prova di mimetismo fisico e understatement (così pachidermico, introverso ma anche sarcastico, con una sottile ma evidente smorfia di dolore a sottolineare la profonda ingiustizia che ferisce la sua vita quotidiana) a qualcosa di ipermanierista e fine a se stesso, comunque “sufficiente” a farli ottenere la nomination agli Oscar e ai Golden Globe. Oltretutto il copione accenna soltanto senza approfondire i ruoli dei due personaggi di supporto (possibile che sia a causa dei tagli per dodici minuti totali che il regista ha fatto dopo una premiere a Toronto). Peccato perché, in quel poco che li si vede esprimere, sia Colin Farrell che Carmen Ejogo appaiono estremamente convincenti.